promo_banner

Реклама

Читайте только на ЛитРес

Книгу нельзя скачать файлом, но можно читать в нашем приложении или онлайн на сайте.

Читать книгу: «I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1», страница 7

Шрифт:

CAPITOLO VIII

Il buon religioso della mattina ritornò la sera per consolare Emilia, e le portò l'invito dell'abbadessa di un convento vicino al suo di recarsi da lei. La fanciulla non accettò l'offerta, ma rispose con molta riconoscenza. La pia conversazione del confessore, la dolcezza delle sue maniere, che somigliavano a quelle del defunto padre, calmarono un poco la violenza dei suoi trasporti: innalzò il cuore all'Ente Supremo, presente da per tutto. – Relativamente a Dio, – pensava Emilia, – il mio dilettissimo padre esiste come ieri esisteva per me: egli non è morto che per me; per Dio, per lui, veramente esiste. —

Ritirata nella sua cameretta, i suoi pensieri malinconici vagarono ancora intorno al padre. Immersa in una specie di sonno, imagini lugubri offuscaronle l'immaginazione. Sognò di vedere il genitore accostarsele con benevolo contegno. D'improvviso, sorrise mesto, alzò gli occhi, aprì le labbra; ma invece delle sue parole, udì una musica soave, trasportata sull'aere a grandissima distanza. Vide allora tutti i suoi lineamenti animarsi nella beata estasi d'un ente superiore: l'armonia diventava più forte; essa si destò. Il sogno era finito, ma la musica durava ancora, ed era una musica celeste.

Tese l'orecchio, e si sentì agghiacciata da superstizioso rispetto: le lagrime cessarono, si alzò, ed affacciossi alla finestra. Tutto era oscuro, ma Emilia, distogliendo gli occhi dalle tetre selve che frastagliavan l'orizzonte, vide a manca quell'astro brillante ond'avea favellato il vecchio, e che trovavasi al di sopra del bosco. Ricordossi quanto avea detto, e siccome la musica agitava l'aere ad intervalli, aprì la finestra per ascoltar la dolce armonia, la quale poco dopo andò affievolendosi, ed essa tentò indarno scoprire donde partisse. La notte non le permise di nulla distinguere sul prato sottoposto, ed i suoni diventando successivamente più fiochi e soavi, cessero alfine il luogo ad un assoluto silenzio…

Il giorno dipoi essa ricevè un nuovo invito dalla badessa; Emilia che non poteva risolversi ad abbandonare la casuccia finchè vi riposava il cadavere del padre, acconsentì con ripugnanza di andare quella medesima sera a rassegnarle il suo rispetto. Un'ora circa avanti il tramonto del sole, Voisin le servì di guida, e la condusse al convento traversando il bosco. Questo convento era situato, al par di quello dei frati di cui abbiam parlato, all'estremità di un piccolo golfo del Mediterraneo. Se Emilia fosse stata meno infelice, avrebbe ammirato la bella vista di un immenso mare, che si scopriva da un colle, sul quale sorgeva l'edificio; essa avrebbe contemplato quelle ricche spiaggie coperte d'alberi e di pasture, ma le sue idee erano fisse in un solo pensiero, e la natura non aveva ai suoi occhi nè forma, nè colore. Mentre passava per l'antica porta del convento la campana suonò a vespro, e le parve il primo tocco del funerale del padre. I più leggeri incidenti bastano per alterare uno spirito infiacchito dal dolore. Emilia superò la crisi penosa, da cui era agitata, e si lasciò condurre dalla badessa, la quale la ricevè con materna bontà. La di lei fisonomia interessante, i suoi sguardi benigni, penetrarono Emilia di riconoscenza; avea gli occhi pieni di lacrime, e non poteva parlare. La badessa la fece sedere vicino a lei e l'osservò in silenzio, mentre essa cercava di asciugare le lacrime. « Calmatevi, figliola, » le disse ella con voce affettuosa; « non parlate, io v'intendo, voi avete bisogno di riposo. Noi andiamo alla preghiera; volete accompagnarci? è una consolazione, fanciulla cara, il poter deporre i propri affanni in seno del nostro Padre celeste: egli ci vede, ci compiange, e ci castiga nella sua misericordia. »

Emilia versò nuove lacrime, ma le più dolci emozioni ne mitigarono l'amarezza. La badessa la lasciò piangere senza interromperla, guardandola con quell'aria di bontà che pareva indicare l'attitudine di un angelo custode; Emilia divenne più tranquilla, parlando francamente, spiegò i suoi motivi di non lasciare l'abitazione di Voisin.

La badessa approvò i di lei sentimenti ed il suo rispetto figliale, ma l'invitò a passare qualche giorno al convento, prima di ritornare al suo castello. « Procurate di distrarvi, figlia mia, » le disse ella, « per rimettervi un poco da questa scossa, prima di arrischiarne una seconda; non vi dissimulerò quanto il vostro cuore si sentirà lacerare alla vista del teatro della vostra passata felicità; qui voi troverete tutte le consolazioni che possono offrire la pace, l'amicizia e la religione; ma venite, » soggiunse vedendo che gli occhi le si riempivano di lacrime, « venite, scendiamo in cappella. »

Emilia la seguì in una sala, ov'erano già riunite tutte le monache; la badessa la presentò dicendo: « È una giovane per la quale ho molta considerazione; trattatela come vostra sorella. » Andarono tutte insieme alla cappella, e l'edificante devozione colla quale fu recitato l'uffizio divino, elevò lo spirito di Emilia alle consolazioni della fede e d'una perfetta rassegnazione.

L'ora era già avanzata, quando la badessa acconsentì a lasciarla partire. Ella uscì dal convento meno oppressa di quando v'era entrata, e fu ricondotta a casa da Voisin. Essa lo seguiva pensierosa in un sentieruzzo poco battuto, quando d'improvviso la sua guida si fermò, guardossi intorno, gettossi fuor del sentiero nello scopeto, dicendo d'avere smarrita la strada; camminava con molta velocità. Emilia, che non poteva seguirlo in un terreno lubrico e nella oscurità, restava a gran distanza, e fu costretta di chiamarlo: egli non voleva fermarsi, e l'invitava ad accelerare il passo con ruvidezza.

« Se voi non siete certo della vostra strada, » disse Emilia, « non sarebbe meglio indirizzarvi a quel gran castello che scorgo là fra gli alberi?

– No, » disse Voisin, « non ne vale la pena: quando saremo a quel ruscello dove voi vedete splendere un lume al di là del bosco, noi saremo a casa. Non capisco come ho potuto fare a smarrirmi: sarà forse perchè vengo rare volte da queste parti dopo il tramonto del sole.

– È un luogo molto solitario, » disse Emilia. « Ma però non ci sono assassini?

– No, signorina, non ve ne sono.

– Cosa è dunque che vi spaventa tanto, amico mio? Sareste mai superstizioso?

– No, non lo sono; ma, per dirvi la verità, signorina, nessuno ama trovarsi la notte nelle vicinanze di quel castello.

– Da chi è dunque abitato per crederlo così formidabile?

– Oh! signorina, se almeno fosse abitato! Il signor marchese è morto, come vi dissi; non ci era venuto da molti anni, ed i suoi servitori si sono ritirati in una casuccia poco lontana. »

Emilia comprese allora che il castello era quello di cui aveva già parlato Voisin, e che aveva appartenuto al marchese di Villeroy, la cui morte aveva tanto sorpreso il di lei padre.

« Ah, » disse Voisin; « com'esso è desolato! Era pure una bella casa; che bella situazione! quando me ne ricordo… »

Emilia gli domandò il motivo di quel terribile cambiamento. Il vecchio taceva, ed essa, colpita dallo spavento ch'egli manifestava, occupata soprattutto dall'interesse manifestato da suo padre, ripetè la domanda, ed aggiunse: Se non sono gli abitanti che vi spaventano, e se non siete superstizioso, per qual ragione dunque, amico mio, non avete il coraggio di avvicinarvi la sera a quel castello?

– Ebbene dunque, signorina, sarò forse un poco superstizioso, ma se ne sapeste la vera cagione, potreste divenirlo anche voi. Sono accadute colà cose stranissime; il vostro buon padre pareva aver conosciuto la marchesa.

– Ditemi, vi prego, cos'è accaduto? » gli disse Emilia molto commossa.

– Oimè! » rispose Voisin; « non mi domandate di più; i segreti domestici del mio padrone devono essere sempre sacri per me. »

Emilia, sorpresa da quest'ultima espressione, e sopratutto dal tuono di voce con cui avevala pronunziata, non volle fare ulteriori domande. Un interesse più vivo, l'imagine di Sant'Aubert, occupava allora tutti i suoi pensieri, ella si rammentò la musica della notte precedente, e ne parlò a Voisin. « Voi non siete stata la sola, » le diss'egli; « l'ho udita anch'io; ma ciò m'accade così spesso a quell'ora, che non ci bado più.

– Voi credete al certo, » disse Emilia, « che questa musica abbia rapporti col castello, ed ecco perchè siete superstizioso, n'è vero?

– Può essere signorina; ma vi sono altre circostanze relative a quel castello, e delle quali io conservo tristamente la memoria. »

Queste parole furono accompagnate da un profondo sospiro, e la delicatezza di Emilia trattenne la curiosità, che le avevano destato quei detti misteriosi.

Tornata a casa, la sua disperazione ricominciò: pareva che non ne avesse sospeso il corso se non perdendo momentaneamente di vista colui che ne formava il soggetto; andò tosto a contemplare la salma del padre, e cedè a tutti i trasporti di un dolore senza speranza. Voisin avendola finalmente decisa di allontanarsene, se ne tornò nella sua camera. Oppressa dalle fatiche del giorno, si addormentò immediatamente, e quando si svegliò trovossi molto più sollevata.

Sant'Aubert aveva domandato di essere sepolto nella chiesa delle monache di Santa Chiara; aveva scelta la cappella settentrionale, prossima alla sepoltura dei marchesi di Villeroy, e ne aveva indicato il posto. Il superiore vi acconsentì, e la processione funebre s'incamminò a quella volta. Il venerando padre, seguito da molti preti, venne a riceverla alla porta. Il canto del Miserere, il suono dell'organo, che rimbombò in chiesa quando vi entrò la bara, i passi vacillanti, e l'aria abbattuta di Emilia, avrebbero strappato le lacrime ai cuori più duri; ma essa non ne versò neppur una. Colla faccia semicoperta da un velo nero, camminava in mezzo a due persone che la sorreggevano; la badessa la precedeva, le monache la seguivano, ed il lamentoso loro canto faceva eco a quello lugubre del coro. Quando la processione fu giunta al sepolcro, Emilia abbassò il velo, e nell'intervallo dei canti si distinsero facilmente i di lei singulti. Il reverendo sacerdote cominciò la messa, ed Emilia riescì a frenarsi alquanto, ma quando il cadavere fu deposto nella tomba, quando udì gettar la terra che dovea ricoprirlo, le sfuggì un fioco gemito, e cadde in braccio alla persona che la sosteneva; ma si rimise prontamente, e potè intendere quelle parole sublimi: – Il suo corpo riposa in pace, e l'anima è tornata a Chi glie l'ha data. – La sua disperazione allora fu sollevata da un diluvio di lacrime.

La badessa la fece uscire di chiesa, la condusse nel suo appartamento, e le offrì tutti i soccorsi della santa religione e di una tenera pietà. La fanciulla facea sforzi per vincere la sua debolezza; ma la superiora, la quale l'osservava attenta, le fece preparare un letto e la indusse al riposo. Reclamò con bontà la promessa fatta da lei di passar qualche giorno al convento. Emilia, cui nulla più richiamava alla capanna, teatro del suo infortunio, ebbe agio allora di considerar la sua posizione, e si sentì incapace di ripartire immediatamente.

Intanto la bontà materna della badessa e le dolci attenzioni delle monache nulla risparmiavan per calmare il di lei spirito e restituirla in salute; ma essa avea provato scosse troppo violente per ristabilirsi presto: fu adunque per parecchie settimane colta da lenta febbre, e cadde in uno stato di languore. S'affligea di lasciar la tomba dove riposavano le ceneri del padre; si lusingava che, se moriva colà, sarebbe a lui riunita. Intanto, Emilia scrisse alla signora Cheron sua zia ed alla sua vecchia governante per partecipar loro l'accaduto, ed informarle della sua situazione. Mentre l'orfanella stava in convento, la pace interna di quell'asilo, la bellezza de' dintorni, le attenzioni della superiora e delle monache fecero su lei un effetto sì attraente, che fu quasi tentata di separarsi dal mondo; essa avea perduto i suoi più cari amici, voleva chiudersi in quel chiostro, in un soggiorno che il sepolcro del padre rendeale sacro in sempiterno. L'entusiasmo del suo pensiero, ch'erale quasi naturale, avea sparso una vernice sì patetica sul santo ritiro d'una monaca, ch'ell'avea quasi smarrito di vista il vero egoismo che lo produce. Ma i colori che un'imaginazione malinconica, lievemente imbevuta di superstizione, prestava alla vita monastica, svanirono a poco a poco, quando le tornarono le forze, e ricondussero un'imagine ch'erane stata bandita soltanto passaggiermente. Tale memoria richiamolla tacitamente alla speranza, alla consolazione, ai più dolci sentimenti; bagliori di felicità mostraronsi da lunge, e benchè non ignorasse a qual punto potevano esser fallaci, non volle privarsene. Dopo parecchi giorni, ricevè una risposta dalla sua zia, gonfia di espressioni comuni di condoglianza, ma non d'un vero dolore; le annunziava che una persona da lei incaricata sarebbe andata a prenderla per ricondurla al castello della valle, giacchè le di lei occupazioni non le permettevano d'intraprendere un sì lungo viaggio. Sebbene Emilia preferisse la sua valle a Tolosa, fu nonostante colpita da una condotta così poco delicata e sconveniente. La zia permetteva ch'ella ritornasse al suo castello senza parenti e senza amici per consolarla e per difenderla; e questa condotta diveniva tanto più colpevole, in quanto che suo padre moribondo aveva affidata la derelitta figliuola alle cure della sorella, com'essa l'aveva avvisata nella lettera scrittale.

Passarono alcuni giorni dall'arrivo dell'inviato della signora Cheron all'epoca in cui Emilia fu in grado di partire. La sera precedente alla sua partenza, andò a casa di Voisin per congedarsi da quella buona famiglia, ed attestarle la sua riconoscenza: trovò il buon vecchio assiso sulla porta, fra la figlia ed il genero, che, riposando in quel momento dai lavori della giornata, suonava una specie di flauto somigliante ad una zampogna. Essi avevano innanzi a sè imbandita una piccola mensa ben provvista di pane, frutti e vino; i ragazzi, tutti belli e pieni di salute, godevano intorno alla tavola della refezione che lor veniva distribuita con indicibile affetto dai genitori. Emilia si fermò un momento prima di avvicinarsi, contemplando il quadro interessante di quella buona gente; essa guardava attentamente quel vecchio rispettabile, e girando gli occhi sulla casa, l'immagine del padre le rammentò tutto l'orrore della sua situazione. Disse addio a tutta la famiglia con un'espressione la più tenera e sensibile; Voisin l'amava come sua figlia e versava lacrime. Emilia piangeva; evitò di entrare nella casetta, che le avrebbe rinnovato impressioni troppo dolorose, e partì.

Tornata al convento, ella si decise di visitare ancora una volta la tomba del padre. Avendo inteso che un andito sotterraneo conduceva a quei sepolcri, aspettò che tutti fossero in letto, eccettuato una monaca che le aveva promessa la chiave della chiesa. Emilia restò in camera finchè l'orologio suonò mezzanotte, ed allora giunse la monaca colla chiave promessa. Scesero insieme una scaletta a chiocciola; la monaca si offrì di accompagnarla fino al sepolcro, aggiungendo spiacerle il lasciarla andar sola a quell'ora; ma Emilia la ringraziò, e non potè acconsentire di avere un testimonio del suo dolore. La buona religiosa aprì una porticina e le porse il lume. Emilia la ringraziò, si avanzò nella chiesa, e suora Maria si ritirò. Assalita da improvviso terrore, la fanciulla si riavvicinò alla porta, ed era tentata di richiamarla, ma al momento stesso, vergognandosi del suo timore, si avanzò nuovamente. L'aria fredda e umida di quel luogo, il cupo silenzio che vi regnava, e un fioco raggio di luna che traversava una finestra gotica, avrebbero senza dubbio risvegliata in chiunque la superstizione; ma essa in quel punto non aveva altro pensiero che il suo dolore. Tutto ad un tratto le parve vedere un'ombra fra le colonne; si fermò, ma non avendo udito i passi di alcuno, conobbe esser l'effetto della sua imaginazione alterata. Sant'Aubert era sepolto in un'urna semplicissima, la quale non portava altra iscrizione fuor del suo nome e cognome, la data della nascita e quella della morte, ed era situata al piè del pomposo mausoleo de' Villeroy. Emilia vi si trattenne in orazione finchè la campana del mattutino l'avvertì esser tempo di ritirarsi. Versò ancora qualche lacrima, baciò il prezioso sarcofago, e se ne tornò in camera abbandonando un luogo così tristo. Dopo quel momento di effusione gustò di un sonno tranquillo; svegliandosi, si sentì lo spirito più calmo, e parve più rassegnata di quello fosse stata dopo la morte del padre.

Giunto il momento della partenza, tutto il suo dolore si rinnovò; la memoria di suo padre nella tomba, e la bontà di tante persone viventi, l'affezionavano a quella dimora; ella sembrava provare, per il luogo ove riposava Sant'Aubert, quella tenera affezione che si risente per la patria. La badessa, nel separarsi da lei, le diede tutte le più sensibili testimonianze di attaccamento, e l'impegnò a tornare, se altrove non avesse incontrata quella considerazione, che dovea aspettarsi. Le altre monache le esternarono i più vivi rammarici; alla perfine lasciò il convento colle lacrime agli occhi, portando seco l'affetto ed i voti di tutte le persone che vi restavano.

Aveva già percorso un lungo tratto di paese prima che il magnifico spettacolo, che si offeriva alla sua vista, potesse distrarla. Assorta nella malinconia, non notò tanti oggetti incantevoli se non per rammentarsi meglio il padre perduto. Sant'Aubert trovavasi con lei quando prima li aveva veduti, e le di lui osservazioni su di essi le tornavano alla memoria. Quel giorno passò nel languore e nell'abbattimento; la notte essa dormì sulla frontiera della Linguadoca, ed il dì successivo entrò in Guascogna.

Al tramontar del sole, Emilia si trovò nelle vicinanze della valle tutti quei luoghi che conosceva sì bene, richiamandola a rimembranze che le straziavano il cuore, ridestarono tutta la sua tenerezza ed il suo dolore; guardava piangendo le vette dei Pirenei colorite allora dalle più belle e vaghe tinte del tramonto. « Là, » sclamava essa, « là sono quelle medesime grotte; ecco là il medesimo bosco di abeti ch'egli guardava con tanta compiacenza quando passammo insieme da quei luoghi! Ecco là quella capanna sull'ameno colle del quale mi aveva fatto disegnare la veduta. Oh! padre mio, io non vi vedrò mai più. »

La strada ad una svolta le lasciò scorgere il castello in mezzo a quel magnifico paesaggio; i fumaiuoli, imporporati dall'occaso, sorgevan dietro le piantagioni favorite di Sant'Aubert, il cui fogliame celava le parti basse dell'edifizio. Emilia non potè reprimere un profondo sospiro. – Quest'ora, pensava ella, era pure la sua ora prediletta. – E vedendo il paese sul quale allungavansi le ombre: « Qual quiete! » sclamava; « qual deliziosa scena! tutto è tranquillo, tutto è amabile, aimè! come già un tempo! »

Ella resisteva ancora al peso terribile del suo dolore, quando udì la musica dei balli campestri che bene spesso aveva osservati passeggiando col padre sulle fiorite sponde della Garonna. Allora pianse amaramente fino al momento in cui si fermò la carrozza. Alzò gli occhi, e riconobbe la sua vecchia governante che apriva la porta della casa. Il cane di suo padre veniva festoso incontro di lei, e quando fu discesa la colmò di carezze; lo che aumentò il di lei vivo dolore.

« Mia cara padroncina… » le disse Teresa, e poi si fermò; le lacrime di Emilia le impedivano di replicare; il cane saltellava intorno a lei; di repente corse alla carrozza. « Ah! signora Emilia, povero il mio padrone! » sclamò Teresa; « il suo cane è andato a cercarlo. »

Emilia singhiozzò vedendo quell'animale amoroso saltare in carrozza, scendere, fiutare, e cercare con inquietudine.

« Venite mia cara signorina, » disse Teresa, « andiamo; che cosa potrò io darvi per rinfrescarvi? »

Emilia prese la mano della governante, sforzandosi di moderare il suo dolore, con interrogazioni sullo stato della di lei salute. Camminava lentamente verso la porta, si fermava, faceva un passo, e si fermava di nuovo. Qual silenzio! Qual abbandono, qual morte in quel castello! Temendo di rientrarvi, e rimproverandosi le sue esitanze, traversò rapidamente la sala, come se avesse temuto di guardarsi intorno, ed aprì il gabinetto che altre volte chiamava il suo. L'imbrunir della sera dava qualcosa di solenne al disordine di quel luogo: le sedie, i tavolini, e tutti gli altri mobili, che in tempi più felici osservava appena, parlavano allora troppo eloquentemente al suo cuore; ella sedette vicino ad una finestra che guardava sul giardino, d'onde, in compagnia del padre, aveva spesso contemplato l'effetto maraviglioso del sole all'occaso. Non si contenne più e si trovò sollevata da quello sfogo.

« Vi ho preparato il letto verde, » disse Teresa portandole il caffè; « ho creduto che ora lo preferireste al vostro. Non avrei mai creduto che aveste a tornar sola. Qual giorno, gran Dio! La nuova, quando la ricevetti, mi trapassò il cuore: chi l'avrebbe detto, quando partì il mio povero padrone, che non doveva tornare mai più? »

Emilia si coprì la faccia col fazzoletto, e le accennò di tacere e partirsene.

La fanciulla rimase alcun tempo immersa in alta mestizia; non vedea un solo oggetto che non le ravvivasse il suo dolore: le piante favorite di Sant'Aubert, i libri scelti per lei, e cui leggevano spesso insieme, gli strumenti musicali onde amava tanto l'armonia e che suonava egli medesimo. Alla fine, fattasi coraggio, volle vedere l'appartamento abbandonato; sentì che la sua pena sarebbe aumentata se differiva.

Traversò il cortile, ma il coraggio le venne meno nell'aprir la biblioteca; forse l'oscurità che la sera ed il fogliame diffondevano intorno accresceva il religioso effetto di quel luogo, dove tutto le parlava del padre. Scorse la sedia nella quale si poneva: rimase interdetta a tal vista, ed immaginossi quasi averlo visto in persona dinanzi a lei. Cercò scacciare le illusioni d'un'immaginazione turbata, ma non potè astenersi da un certo rispettoso terrore che mescolavasi alle sue emozioni. Inoltrò pian piano verso la sedia e vi s'assise; avea presso un leggìo, su cui stava un libro che suo padre non avea chiuso; riconoscendo la pagina aperta, rammentossi che la vigilia della sua partenza Sant'Aubert aveagliene letto qualcosa: era il suo autore favorito. Guardò il foglio, pianse, e tornò a guardarlo: quel libro era sacro per lei; essa non avrebbe chiusa la pagina aperta per tutti i tesori del mondo; ristette dinanzi al leggìo, non potendo risolversi a lasciarlo.

In mezzo ai suoi tristi pensieri, vide la porta aprirsi lentamente; un suono cui udì in fondo alla stanza, la fece trabalzare; credette scorgere qualche movimento. Il subietto della sua meditazione, l'abbattimento de' suoi spiriti, l'agitazione de' sensi le cagionarono un repentino terrore; s'aspettò qualcosa di sovrannaturale. Ma la ragione vincendo la paura: « Di che ho io a temere? » disse; « se le anime di coloro che amiamo compariscono, non può essere che pel nostro meglio. »

Il silenzio che regnava la fece vergognare del suo timore; frattanto il medesimo suono ricominciò; distinguendo qualcosa intorno a lei, che venne ad urtar leggermente la sua sedia, gettò un grido, ma non potè nel tempo stesso trattenersi dal sorridere con un po' di confusione, riconoscendo il buon cane che si accucciava vicino a lei, e le lambiva le mani. Emilia, non trovandosi in grado quella sera di visitare tutto il castello, uscì ed andò a passeggiare in giardino, sul terrazzo sovrastante al fiume. Il sole era tramontato, ma sotto i fronzuti rami de' mandorli distinguevansi le strisce di fuoco che indoravano il crepuscolo. La fanciulla si avvicinò al platano favorito, ove Sant'Aubert sedeva spesso vicino a lei, e dove la sua tenera madre le aveva tante volte parlato delle delizie della vita futura; quante volte ben anco suo padre aveva trovato conforto nell'idea di una eterna riunione! Oppressa da tale rimembranza, lasciò il platano, ed appoggiandosi al muro del terrazzo, vide un gruppo di contadini che ballavano allegramente sulle rive della Garonna, la cui vasta estensione rifletteva gli ultimi raggi del dì. Qual doloroso contrasto per la povera Emilia, infelice e desolata! Si voltò, ma oimè! dove poteva essa andare senza incontrar ad ogni passo oggetti fatti per aggravare il suo dolore? se ne tornava lentamente a casa quando incontrò Teresa, la quale sgridolla dolcemente di esporsi sola in giardino ed a quell'ora, dove non poteva ricevere alcuna consolante assistenza nello stato penoso in cui si trovava.

« Ve ne prego, Teresa, lasciatemi tranquilla, » disse Emilia; « la vostra intenzione è ottima, ma l'eloquenza è male adattata in questo momento.

– Intanto la cena è preparata, » rispose la governante.

– Non posso mangiare, » disse Emilia.

– Fate malissimo, mia cara padrona, bisogna nutrirsi. Vi ho preparato un fagiano, che m'ha mandato stamattina il signor Barreaux: avendolo incontrato ieri, gli dissi che vi aspettava; vi giuro che non ho mai veduto un uomo più afflitto di lui, quando gli diedi la trista nuova… »

Emilia, malgrado tutte le premure di Teresa, non volle mangiare, e si ritirò nella sua camera.

Qualche giorno appresso ricevè lettere di sua zia. La signora Cheron, dopo alcune espressioni di consolazione e di consiglio, la invitava ad andare a Tolosa, aggiungendo che il defunto fratello avendole affidata la sua educazione, si credeva in obbligo d'invigilare sopra di lei. Emilia avrebbe preferito di restare alla valle; essendo esso l'asilo della sua infanzia ed il soggiorno di coloro che aveva perduti per sempre, poteva piangerli liberamente senza essere molestata da alcuno; ma desiderava parimenti non dispiacere alla sola parente che le restava.

Quantunque la di lei tenerezza non le permettesse di dubitare un istante sulle ragioni che avevano determinato Sant'Aubert a fare questa scelta, Emilia comprendeva benissimo che la sua felicità andava ad essere esposta ai capricci della zia. Rispondendole, ella chiese il permesso di restare ancora qualche tempo nella valle, allegando il suo estremo abbattimento, ed il bisogno che aveva di riposo e di solitudine, per ristabilirsi dai dispiaceri sofferti; sapeva benissimo che i di lei gusti differivano assai da quelli di sua zia, la quale amava la dissipazione, e le sue ricchezze le permettevano di goderne. Dopo avere scritta questa lettera, Emilia si sentì più sollevata.

Ricevè la visita di Barreaux, il quale compiangeva sinceramente la perdita dell'amico.

« Non posso rammentarmene senza il più vivo interesse, » diceva egli; « io non troverò alcuno che lo somigli. Se avessi incontrato un uomo solo come lui nel mondo, non ci avrei rinunciato. »

L'affezione di Barreaux per Sant'Aubert lo rendeva estremamente caro ad Emilia; la di lei maggior consolazione consisteva nel parlare de' suoi genitori con un uomo che stimava moltissimo, e che, sotto un esteriore poco gradevole, nascondeva un cuore tanto sensibile ed uno spirito così coltivato.

Scorsero parecchie settimane, ed Emilia nel suo pacifico ritiro passò gradatamente dal dolore ad una dolce malinconia; poteva già leggere, e leggere perfino i libri che aveva percorsi col padre, sedere al suo posto nella biblioteca, inaffiare i fiori da lui piantati, suonare il pianoforte, e cantare di tempo in tempo qualcuna delle sue arie favorite.

Quando il suo spirito fu un poco rimesso da questa prima scossa, comprese il pericolo di cedere all'indolenza, e pensando che un'attività sostenuta avrebbe potuto restituirle la forza, si attaccò scrupolosamente ad impiegare con metodo tutte le ore del giorno. Allora conobbe più che mai il pregio dell'educazione ricevuta. Coltivando la di lei mente, Sant'Aubert le aveva assicurato un rifugio contro l'ozio e la noia. La dissipazione, i brillanti divertimenti e le distrazioni della società da cui separavala la sua posizione attuale, non eranle punto necessari. Ma, nel tempo medesimo, il padre aveva sviluppato le preziose qualità del suo spirito; spargendo le sue beneficenze intorno a sè, con la bontà e la compassione addolciva i mali di coloro che non poteva alleviare coi soccorsi; in una parola, sapeva compatire tutti gli esseri che si trovavano vittima dei mali inseparabili della vita umana.

Non ricevendo nessuna risposta dalla Cheron, Emilia cominciava a lusingarsi di poter prolungare il suo soggiorno nella valle; e sentendosi bastantemente in forza, si arrischiò a visitare quei luoghi, ove il passato rappresentavasi più vivamente al di lei spirito; recossi dunque alla peschiera, e per aumentare la malinconia, che tanto le piaceva, portò seco il liuto, e vi andò in una di quelle ore della sera che tanto si affanno all'immaginazione e al cuore: quando la fanciulla fu tra i boschi e vicina a quel luogo delizioso, si fermò, appoggiossi contro un albero, e pianse qualche minuto prima di avanzarsi. La stradella che menava al padiglione era allora tutta ingombra di erbe; i fiori seminati da suo padre sui margini, ne parevan quasi soffocati; le ortiche, il caprifoglio crescevano a cespi; ed ella osservava tristamente quella passeggiata negletta; ove tutto annunziava il disordine e la noncuranza, aprì la porta tremando. « Ah! » disse; « ogni cosa è al suo posto come ve la lasciai quando ci stava in compagnia di chi non rivredrò mai più. » Se ne stava ella così pensierosa, senza riflettere ch'era imminente la notte, e che gli ultimi raggi del sole indoravano già la cima de' monti; sarebbe rimasta senza dubbio più a lungo in quella situazione, se non fosse stata risvegliata da un rumore di passi dietro l'edifizio. Poco dopo fu aperta la porta, comparve uno straniero, e stupefatto di vedere Emilia, la supplicò di scusare la sua indiscretezza. Al suono di quella voce, svanì il timore di lei, ma crebbe la sua commozione. Quella erale famigliare, e sebbene non potesse riconoscerne l'oggetto, la memoria le serviva troppo bene perch'ella conservasse paura.

L'ignoto ripetè le sue scuse. Emilia rispose qualche parola, ed allora avanzandosi esso con vivacità, esclamò: « Gran Dio! è mai possibile? Certo, io non m'inganno, è la signorina Sant'Aubert.

Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
04 августа 2018
Объем:
170 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

С этой книгой читают

Эксклюзив
Черновик
4,8
307