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Читать книгу: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II», страница 23

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CAPITOLO XV

Copiose abbiam visto le sorgenti della ricchezza; coltivati i comodi sociali; svegliati ingegni vaghi di scienze e d'ogni maniera di lettere; gli uomini ad uno ad uno non mentire al valor del sangue arabico, greco nè italico, non ignorar arte nè stromento di guerra che appartenesse a que' tempi. Costumi tra buoni e tristi: da un lato, invidia, avarizia, abbominazioni di taluno, stravizi di tal altro, ma l'universale condannarli; dall'altro lato, carità di figliuoli, costanti amicizie, liberalità, alti e generosi spiriti, raggi d'amore che balenavano fin entro le mura degli harem; talchè soli vizii profondi della società musulmana di Sicilia compariscon due: la violenza e il sospetto. Nè era menomata di certo la fede musulmana in Sicilia, dove non prevalsero scuole scettiche, non si udirono scismi, non sètte kharegite, nè fanatismo di casa d'Ali: allegri giovani beveano, dilettavansi di canti e suoni e balli, e poi se ne pentivano; più numero assai di devoti praticava e predicava la rigorosa disciplina, la vita ascetica, e fin le follie sufite. Il qual doppio egoismo dei gaudenti e degli asceti, inevitabil fatto in certe religioni, va noverato tra i sintomi non tra le cause della tabe che consumava la Sicilia, come ogni altra colonia arabica, senz'eccettuarne veruna. Tabe nel vincolo dello stato; quando i corpuscoli sociali non stanno insieme per amor di patria nè forza di comando, ma ciascun fa per sè. Dicemmo già come l'impero arabico nacque con tal germe d'immatura morte: per l'indole dei conquistatori, l'imperfetta assimilazione dei popoli vinti, l'immobilità delle leggi, la necessità e impotenza insieme del dispotismo, i mercenarii stranieri, l'ordinamento aristocratico dei giund, la confusa democrazia municipale, le consorterie per le multe del sangue: anarchia generale sotto sembianza di assoluta unità religiosa e politica. Indi s'era scisso il califato; i pezzi s'erano rinfranti; gli sminuzzoli, nello undecimo secolo, si trituravano; e pur la forza dissolvente non restava di commuovere e rimescolare quegli atomi di polvere. La Sicilia, spartita tra la gemâ di Palermo, Ibn-Hawwasci, Ibn-Meklâti, ed Ibn-Menkût, perseverò nella discordia sino all'ultimo compimento del conquisto normanno, sendo aggravato il vizio delle istituzioni dalla diversità delle genti. A levante, popolazioni cristiane soggette a nobiltà arabica; nel centro, le plebi di Siciliani convertiti all'islam; a ponente, la cittadinanza delle grosse terre; tramezzati in tutto questo rimasugli di Berberi di non so quante immigrazioni, e rifuggiti arabi d'Affrica e di Spagna. Era proprio la mano simboleggiata da Ibn-Hamdîs, la quale nell'ora del pericolo non potè impugnare la spada.

Ai fomenti di discordia s'aggiugnea l'ambizione di Moezz-ibn-Badîs e il subito danno che la distrusse, il contraccolpo del quale si risenti necessariamente in Sicilia. Appunto alla metà dell'undecimo secolo, passarono in quel ch'è oggi lo stato di Tunis gli Arabi che desolarono e ripopolarono l'Affrica settentrionale, ov'era assottigliata e snervata la schiatta dei primi conquistatori. La causa della quale irruzione fu che Moezz, disdetta l'autorità pontificale de' Fatemiti, avea gridato il nome dei califi di Bagdad; onde il ministro Iazuri, che tenea la somma delle cose al Cairo, non potendo ripigliare la provincia con le armi, la volle inondare di masnadieri: indettò le tribù beduine di Hilâl e Soleim, ospiti infestissimi dell'Alto Egitto; dispensò a ciascuno un mantello e un dinâr d'oro; e scaraventolli a ponente del Nilo (1051). Ed entro sei anni aveano compiuta l'opera; sospinto Moezz all'estrema riva del mare, su li scogli di Mehdia inespugnabili, dond'ei comandava molto dubbiamente a qualche città della costiera mercè l'armata e gli schiavi assoldati.1533 In questa guerra gli Arabi saccheggiarono il Kairewân (novembre 1057), i cui cittadini si rifuggivano chi nelle parti più occidentali d'Affrica, chi in Spagna e chi in Sicilia.1534 Precipitando per tal modo le cose di Moezz, veggiam calare in Sicilia la fazione che s'era affidata a lui nel principio della guerra civile, gli si era poi volta contro (1040), e non mi sembra inverosimile che avesse rannodato le pratiche, afforzata ch'essa fu a Castrogiovanni e Girgenti con Ibn-Hawwasci.

Ma cacciato di Palermo Simsâm e poi spento, par che la repubblica di Palermo ed altri grossi municipii venuti in sospetto di quelle pratiche si collegassero con la parte dei nobili a danno d'Ali-ibn-Hawwasci. Perchè allor si destava novella tempesta in Sicilia;1535 sorgeva improvvisamente capo di parte un Mohammed-ibn-Ibrahim-ibn-Thimna, dei principali ottimati, se leggiam bene un luogo d'Ibn-Khaldûn,1536 certo non uscito di sangue plebeo,1537 insignoritosi di Siracusa, non si sa come nè quando, nè se quella fosse sua patria. Ibn-Thimna, assalito Ibn-Meklati, kâid di Catania, che avea sposata la Meimuna sorella d'Ali-ibn-Hawwasci, lo debellò, gli tolse la vita, lo stato e la donna; e, dopo i termini legali di vedovanza, chiese ed ottenne la man di lei dal fratello. Donde è chiaro che il signor di Castrogiovanni non ebbe poter d'aiutare il cognato confederato suo di certo, nè di ricusar la sorella all'uccisore. Nel medesimo tempo finisce ogni ricordo dei Beni-Menkût, signori della punta occidentale dell'isola. La più parte dell'isola obbedì a Ibn-Thimna, che osò prendere il medesimo titolo d'un califo di Bagdad1538 Kâdir-billah, o diremmo “Possente per grazia di Dio;” e in Palermo si fece la Khotba per lui.1539 È verosimile che la gemâ' gli abbia dato nella capitale un'autorità di nome; bensì l'abbia aiutato all'impresa di Catania e altre città marittime col navilio, il quale non si armò mai altrove che in Palermo. Si ristorava così un'apparente unità di comando di guerra, se mai la Sicilia fosse assalita. Suppongo compiute queste vicende il millecinquantatrè dell'era cristiana, quando Moezz era con l'acqua alla gola; ritraendosi che il quattrocentoquarantacinque dell'egira (1053-4), mandato da lui il navilio a ridurre Susa che gli s'era ribellata, trovò in que' mari l'armata del Sâheb di Sicilia, e temendola ostile diè di volta.1540 La quale denominazione di Sâheb s'adatta a Ibn-Thimna e non meno la nimistà contro casa zîrita.

Durò quanto potea la concordia tra i due capi di parti, l'uno vittorioso, sciolto d'ogni timor di fuori, l'altro umiliato; rivolti entrambi ad avvantaggiarsi con la forza neutrale ch'erano i municipii. Il parentado diè occasione a scoprir nuovamente la nimistà. Meimuna, donna d'indole altera, pronto ingegno e lingua troppo più pronta, solea bisticciarsi col marito; il quale forse non l'amava nè ella lui, forse rinfacciava l'indole plebea alla figliuola del Demagogo. Una sera Ibn-Thimna, acceso dal vino, ricomincia i piati domestici, trascorre alle villanie; Meimuna gliene dà di rimando; e il feroce ubbriaco, come se avesse letto i fasti di Caligola o di Nerone, le fa segar le vene d'ambo le braccia. Ma un figliuolo di lui per nome Ibrahim accorreva a tempo, chiamava i medici, ed arrestavano il sangue; si che la dimane rientrato in sè Ibn-Thimna, andò a scusarsi dei furori dell'ebbrezza, e Meimuna fe sembiante di perdonarlo. Dopo onesto spazio di tempo, ella il pregava le concedesse di rivedere i parenti; quegli, o non sospettando non curandola, o ch'ei cercasse pretesto d'attaccare briga con Ibn-Hawwasci, le diè licenza; mandolla con onorevole scorta e ricchi presenti a Castrogiovanni. Contò allora il caso al fratello; quei le giurò che mai non la rimanderebbe all'efferato signore. Indi Ibn-Thimna a rivendicar i diritti di marito e di re, a minacciare quel che tenea vassallo e plebeo: ma Ibn-Hawwasci non si spuntò dal niego; ed entrambi apparecchiarono le armi.

Ibn-Thimna movea all'assedio di Castrogiovanni; l'altro gli uscì all'incontro; lacerò a brani a brani l'esercito nemico, dicon gli annali, e lo inseguì fin presso Catania con grandissima uccisione. Se prima o dopo della sconfitta non si sa, la Sicilia tutta da Catania, qualche altra città all'infuori, prestava obbedienza al vincitore, anche Palermo. Indi si scorge che la cittadinanza della capitale e delle città maggiori, la quale avea deciso altre fiate i litigi tra le due parti, gittandosi or con l'una or con l'altra, compiè quest'altra rivoluzione a favor d'Ibn-Hawwasci. E in vero, dileguato il timore delle armi di Moezz, il capo dei gentiluomini avea dovuto aggravar la mano su la cittadinanza al par che su la parte siciliana, e provarsi a prender in quelle regioni dell'isola l'autorità, della quale non godeva altro che il nome. Il terzo partito dunque, com'or si chiama, lo messe giù al par di Akhal, del figliuolo di Moezz e di Simsâm. Ibn-Thimna condotto agli estremi, si ricordò che v'erano in Sicilia e in Calabria i Cristiani. Pratiche s'erano cominciate al certo tra gli uni e gli altri fin quando si videro sventolare da Messina su l'altra sponda dello Stretto le gloriose bandiere normanne. Il signor musulmano si cacciò, traditore a sua schiatta e religione, tra le sante trame di chi volea scuotere il giogo: corse a Mileto offerendo la Sicilia al conte Ruggiero, con la solita speranza ch'ei la conquistasse per fargliene dono.1541

FINE DEL SECONDO VOLUME
1533.Si confrontino: Ibn-el-Athîr, MS. C, tomo V, anni 435, 442, 448, 453, 455; Abulfeda, stessi anni; Baîan, testo, tomo I, p. 288 e segg.; Ibn-Khaldûn, Histoire des Berbères, versione di M. De Slane, tomo I, p. 31 e seg., e II, p. 21; Tigiani nel Journal Asiatique, d'agosto 1852, p. 84 a 96; Leone Africano, presso Ramusio, Navigatione et Viaggi, vol. I, fog. 3 recto e verso, edizione di Venezia 1563.
1534.Marrekosci, The history of the Almohades, testo arabico, pubblicato dal professor Dozy, p. 259.
1535.Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 24, dice che la Sicilia di nuovo “si commosse come le onde del mare.” Il Di Gregorio pensò correggere il testo, e tradurre “et solemnis precatio pro eo fiebat in insula,” accennando ad Ibn-Hawwasci. Ma il testo è chiaro e senza mende.
1536.Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 181 della versione di M. Des Vergers. Quivi si legge “l'un des principaux chefs des habitants les plus turbulents de la ville;” e la voce che ho messo in corsivo, sarebbe traduzione plausibile dell'arabico awghâr, come M. Des Vergers corresse il testo dell'unico e mediocre MS. ch'egli ebbe alle mani. Quivi si legge arghâd, che significherebbe “uomini di viver lieto;” ma non si adatta alla parola “caporioni” che precede. Ma un MS. di Tunis, ha la variante agwâd, “nobili” che io seguo nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 484. Le lezioni inoltre del MS. e del testo di M. Des Vergers, darebbero voci arcaiche o neologie; la variante del MS. di Tunis al contrario è di uso comunissimo, e con la voce precedente fa il senso preciso “capi dei nobili.”
1537.Si vegga il passo di Leone d'Ostia che citai nel cap. XII di questo Libro, p. 421 in nota.
1538.Questi regnò, o stette sul trono dal 991 al 1031.
1539.Ibn-Khaldûn e Nowairi.
1540.Tigiani, versione, op. cit., p. 109, e testo nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 377, 378.
1541.Si confrontino: Ibn-el-Athîr, anno 484, nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 275, 276 del testo; Abulfeda, Annales Moslemici, tomo III, p. 274 e seg., anno 484; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione di M. Des Vergers, p. 181 e seg.; Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 23 e seg.; Ibn-Abi-Dinâr, Storia d'Affrica, nella Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 533; i quali con più o men particolari ripetono unica tradizione. Si veggano anche Amato, l'Ystoire de li Normant, Lib. V, cap. 8; l'Anonymi Chronicon-Siculum, presso Caruso, Bibliotheca Sicula, p. 836, e versione francese nello stesso volume di Amato, p. 278; Malaterra, lib. II, cap. 3; e Leone d'Ostia, lib. III, cap. 45: dei quali chi dice d'Ibn-Thimna cacciato di Palermo; chi del cognato d'Ibn-Hawwasci ucciso da lui; e da lor soli si ritrae che Ibn-Hawwasci fosse riconosciuto principe in Palermo. I nomi storpiati pur si ravvisano. Ibn-Thimna, è scritto Bettumenus, Vulthuminus, Vultimino ec.; Ibn-Meklati, Belcamedas, Bercanet, Benneclerus, e in una variante del Caruso, op. cit., p. 179, Benemeclerus; d'Ibn-Hawwasci si è fatto maggiore strazio, Belchaoth, Belchus ec. Sempre della voce ibn rimane la b, vi s'aggiugne la l dell'articolo che segue, ed è esatta anche la prima consonante del nome patronimico; il resto si dilegua.
  Debbo aggiugnere che Ibn-Giûzi, autor del XIII secolo, dà seriamente una favola assurda che non cavò di certo dagli annali musulmani, ma da qualche tradizione orale o raccolta d'aneddoti. Scrive che i Franchi conquistarono la Sicilia il 463 (1070-71), chiamati da Ibn-Ba'ba', governatore dell'isola, per paura del califo d'Egitto il quale gli domandava il tributo ed ei non potea pagarlo. Si legge nel Merat-ez-Zemân, nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 326.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
28 мая 2017
Объем:
692 стр. 4 иллюстрации
Правообладатель:
Public Domain

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