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Читать книгу: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I», страница 25

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In questo mezzo, il papa, vergognando che il vescovo di Napoli lo avesse tenuto a bada per due anni, adunato un sinodo a Roma, del mese di marzo ottocento ottantuno, pronunziò contro Atanasio l'anatema, preludio, come ognun sa, della scomunica. Notevol è in quest'atto che il papa affermava avere profferto danari ad Atanasio, perchè spezzasse il patto coi Musulmani; e aver quegli amato meglio la parte che gli davano del bottino.807 Ma il vescovo, niente sbigottito, spacciati suoi segretarii in Sicilia, fe' venire più forte stuolo di Musulmani; i quali con Sichaimo loro re, dice Erchemperto, forse Soheim condottiero di tribù o masnada, si accamparono alle falde occidentali del Vesuvio. La tradizione serbovvi memoria di loro per lunghissimo tempo; e n'avea ben donde: poichè, posando dalle scorrerie lontane, solean prendere sollazzo nei contorni, sì che non vi lasciarono armi nè cavalli nè giovanette, che non portassero al campo.808

La quale insolenza, non meno che gli anatemi del papa, scrive l'autore contemporaneo, sospinse Atanasio a disfarsi di cotesti ausiliarii.809 Giovanni Ottavo, che già vedea i Musulmani presso Roma, o il temeva,810 incalzò sue minacce, proponendo ad Atanasio, in prezzo della benedizione, ch'ei facesse scannare a suo potere i gregarii musulmani, pigliare a tradimento certi condottieri, di cui dava i nomi, e consegnarli ai legati pontificii, i quali avrebbero cura di mandarli a Roma.811 Il vescovo di Napoli, avvezzo alle perfidie, assentì. Indettatosi con Salerno, Capua e altre città, con tutte le forze che poterono adunare, dettero addosso improvvisamente ai Musulmani; li cacciarono del golfo di Napoli; non però da Agropoli presso Salerno, ove que' valorosi, difendendosi, si ridussero.812 Seguía questo evento, com'ei pare, nell'autunno dell'ottocento ottantadue. Giovanni avealo procacciato con tutte le forze dell'animo suo; e, si può dire, stando sempre con le armi alla mano contro i Musulmani, com'ei figuratamente scrivea ad Alfonso Terzo, re delle Asturie, richiedendogli una torma di cavalieri moreschi, probabilmente apostati dell'islamismo, detti con voce arabica Fâres.813 Ma quand'ebbe conseguito lo scopo a Napoli e potea correre innanzi al compimento degli altri disegni, il papa morì avvelenato da' suoi famigliari, il quindici dicembre dell'ottantadue. Atanasio, suo discepolo e rivale nelle arti di regno, gli sopravvisse sedici anni: si provò in vece del papa ad assoggettare lo Stato di Capua; fallì in questo come Giovanni Ottavo; e alfine, dopo tanti misfatti, trapassò, cred'io, in odore di santità, ricordandosi di lui che a forza di digiuni ed esorcismi sgomberasse il territorio di Napoli dalle cavallette.814

Durarono alsì oltre la vita di Giovanni Ottavo i mali ch'egli avea suscitato. L'attentato suo contro la libertà di Gaeta avea spinto Docibile, primo magistrato della repubblica, a richiedere di aiuto i Musulmani; i quali venendo lungo la marina infino al lago di Fondi, s'eran accampati su i colli Formiani, come li chiama Leone d'Ostia, presso Itri; donde minacciavano il territorio di Roma. Sbigottito a ciò, Giovanni Ottavo, mostrando di pentirsi, aveva accarezzato i cittadini di Gaeta; pregatoli a disdire l'accordo: e i semplici Gaetini aveano ubbidito, affrontando doppio pericolo; l'ambizione cioè del papa, e l'ira degli ingiuriati Musulmani. La morte di Giovanni li campò del primo. Nella guerra contro i Musulmani patirono uccisioni e cattività; e alfine furono sforzati a rifare lo accordo, concedendo al nemico di stanziare un po' più discosto dagli Stati papali, su certi colli che s'innalzano non lungi da Traietto dalla parte del Garigliano, e portavano lo stesso nome della riviera. Questa fu l'origine della temuta colonia musulmana del Garigliano.815

La quale per più di trent'anni, flagello sopra flagello, afflisse la Terra di Lavoro, battuta anco dalle guerre civili: sì che il suolo abbandonato dagli agricoltori, divenne foresta di pruni e sterpi, al dire di Erchemperto, che il vedea con gli occhi proprii.816 Dei particolari di tanto strazio altro non ci si narra che la distruzione di ricchi monasteri; perchè i frati cronisti poco si curavano del rimanente; perchè le proprietà laiche erano state desolate già assai prima dai Cristiani; e perchè i monasteri aveano possessioni più vaste che niun signore. Quello di San Vincenzo in Volturno, così detto dal sito presso la scaturigine del fiume, in diocesi d'Isernia, fu assalito dai Musulmani, com'ei pare, l'ottocento ottantadue, mentre stanziavano tuttavia nel golfo di Napoli; e il saccheggiarono e arsero, con uccisione, dicesi, di parecchie centinaia di frati, i quali in parte morirono con le armi alla mano.817 Più lamentevole nei ricordi della civiltà il fato del monastero di Monte Cassino: celebre per la santità dello istitutore, l'antichità della fondazione, le sterminate ricchezze, l'autorità feudale che esercitò, la pietà, la prudenza, e, secondo i tempi, anco la dottrina dei frati suoi, ai quali si debbono croniche e biografie del medio evo, ed esemplari di molti scrittori dell'antichità. Al par che il monastero del Volturno, quel di Monte Cassino era stato più volte minacciato e taglieggiato nella prima guerra dei Musulmani. Venne adesso dal Garigliano la feroce masnada, che il disertò, l'anno ottocento ottantatrè, in due assalti; l'uno di settembre, l'altro di novembre: e furon arsi e rovinati gli edifizii, e scannato su l'altare lo abate Bertario, dicono le croniche del duodecimo secolo, ancorchè i contemporanei non ne facciano motto. Il monastero tosto rinacque dalle rovine; più splendido, più ricco, più orgoglioso; cinto di fortificazioni; sede di un abate feudatario o sovrano; capitale di uno Stato confinante col pontificio.818 Tra queste ed altre simili devastazioni passarono tre anni fino all'ottantacinque. Intanto, tornato il vescovo di Napoli e anco il principe di Salerno a richiedere i Musulmani, costoro, allettati dal bottino, dimenticavano le passate tradigioni: una schiera, seguendo Atanasio e Guaiferio, stette a campo all'anfiteatro di Capua. Poscia, venuto un principe di schiatta aghlabita a domandare rinforzi per le colonie musulmane di Calabria, trasse gran gente di Agropoli e di Garigliano, e condusseli a Santa Severina,819 ove Niceforo Foca ne fe' macello, come abbiam detto.

D'allora in poi quei due campi, scemati di possanza e di riputazione, recarono minor male al paese. Atanasio ora spingea qualche schiera di Agropoli a danno del principe di Salerno che si mantenne con aiuti bizantini;820 or mandava i Musulmani a osteggiare Capua.821 La repubblica di Gaeta ne ritenne ai suoi soldi cencinquanta; dei quali la più parte, andata con temeraria fazione a Teano contro duemila e cinquecento uomini capitanati da Landone,822 fu tagliata a pezzi, campando sol cinque persone.823 Guido duca di Spoleto assalì una volta il campo di Garigliano; ruppe una schiera ch'erane uscita a combattere;824 poi, congiunto ad Atenolfo,825 marciando da Spoleto a Capua, trovò alle Forche Caudine un Arran, fierissimo condottiero musulmano, con trecento soldati, e tutti li passò al taglio della spada (887). Morto Carlo il Calvo, e andato Guido in Lombardia (888), i Musulmani alla lor volta saccheggiavano il Ducato di Spoleto.826 Un'altra schiera, superati in uno scontro i Capuani, difilata ne andò sopra il monastero di San Martino in Marsico; ma trovò l'abate e i monaci in arme e a cavallo; fu respinta da loro, e poi sterminata dalle milizie di Atenolfo e Landolfo.827 Pochi anni appresso, veggiamo i Musulmani, padroni di Teano, respingere lo stratego bizantino Teofilatto, venuto da Bari.828 Veggiamo un'altra gualdana del Garigliano assediare il castel di Rocca Monte presso Nocera; e già ridurlo, per difetto di acque, quando una pioggia rinfrancò il presidio, il dì di San Vito, non sappiam di quale anno.829 L'ottocento ottantotto, Napoletani, Bizantini, e Musulmani erano spinti di nuovo da Atanasio sopra Capua: contro i quali uscito Atenolfo con le forze ausiliari di Aione principe di Benevento e con un'altra schiera di Musulmani, si combattè a Santo Carzio in quel d'Aversa; tra i Cristiani soli bensì, poichè i seguaci di Maometto dall'una e dall'altra parte si stettero.830 Non andò guari che fatta una pace da Atanasio con Capua, uniti insieme tutt'i condottieri musulmani assalivano a un tempo gli Stati di Napoli e di Salerno; uno stuolo loro, rotto da Guaiferio presso Nocera, parte mettea giù le armi, parte si disperdea tra le selve; un altro insieme coi Capuani andava a dare il guasto al territorio di Napoli.831 Chiamati poscia da Aione, che s'era spiccato dai Greci, andarono con esso a far levare l'assedio di Bari, ma furono rotti dal patrizio Costantino.832

Dalle quali fazioni è manifesta la condizione dei Musulmani in quelle parti: masnade di rubatori, che faceano, quando occorrea, da compagnie di ventura; e, quando stringeva il pericolo, s'annidavano ad Agropoli e al Garigliano. Par che tra loro non mancasse chi si diè al traffico, o esercitò due mestieri ad un tempo, ladrone e mercatante; ritraendosi come in Salerno una volta si sospettò che i Musulmani accorsi in grandissimo numero sotto specie di pace, disegnassero qualche mal tiro; se non che furono vegliati, e poi vietato loro di entrare con armi in città.833 Tra così fatti commercii e l'usare con le milizie di quegli Stati cristiani, con le quali andavano in guerra e per conseguenza spartivano il bottino, i Musulmani si addimesticarono nel paese. Quel rifiuto d'Affrica e di Sicilia, a dir vero, non avea parti d'incivilimento da comunicare altrui; pure arrecava qualche usanza; promovea, poco o molto, la influenza arabica che si vide a Salerno e altrove nel decimo e undecimo secolo. Spicciolati, menomati, assuefatti ad una certa dipendenza dai Cristiani, e, sopra tutto, privi di aiuti della madre patria, rimaneano come piaga inveterata ch'uom più non pensi a curare; nè alcuno li potea temere conquistatori, fino al passaggio di Ibrahîm-ibn-Ahmed, del quale innanzi si dirà.

CAPITOLO XII

Prendendo a studiare il popolo vinto nell'isola, la prima cosa convien tornare alla memoria i modi e la progressione del conquisto. Delle terre di Sicilia altre abbiam visto prese di viva forza, ovvero a patti che guarentissero le persone e gli averi; altre sottomettersi a tributo; altre vittoriosamente resistere. Le prime e le seconde di raro furon distrutte; talvolta i Musulmani vi posero colonie; più sovente le tennero suddite, abbattute pria le fortificazioni e presi ostaggi; nè in tutte lasciaron presidii. Non presidii nè colonie ebbero le città tributarie. Le independenti durarono nell'antico esser loro; aggiuntovi i pericoli, la gloria e la febbrile attività della guerra.

Quanto al cammino dei conquistatori, si è potuto notare che s'avanzarono quasi sempre da ponente a levante. Combattuto qua e là con varia fortuna per quattro anni (827-831) e ferme poi le stanze in Palermo, s'insignorirono entro un decennio (831-841) del Val di Mazara: regione piana anzi che no, abbondante di pascoli e terre da seminato; nella quale fondarono lor prime colonie e trasportarono gli schiavi che coltivassero i poderi occupati. Nei diciott'anni susseguenti (841-859) fu domo con più duro contrasto il Val di Noto: terreno feracissimo, ondulato, sparso di men alti monti e men vaste pianure che il Val di Mazara; nè par che i Musulmani prendessero a soggiornarvi finchè Siracusa tenne il fermo. Repressa intanto la sollevazione cristiana dell'ottocento sessanta, che fu comune al Val di Mazara e al Val di Noto, i vincitori si spinsero in Val Demone: provincia formata dalla catena degli Apennini e dall'Etna; e però tutta valli e aspre montagne, coperta d'alberi da bosco e da giardino, e difendevole assai. In Val Demone, invero, aveano occupato Messina ed alcun'altra città marittima; pure, entro sessant'anni (843-902) non arrivarono a spuntar dalla difesa le popolazioni cristiane ridotte in un triangolo, il cui vertice toccava Catania e la base stendeasi dai monti sopra Messina infino a Caronia, com'io credo.834

Ho seguito fin qui la divisione territoriale della Sicilia in tre province, che chiamavansi Valli, di Mazara, Demone e Noto; la quale durò, con qualche mutamento, infino al mille ottocento diciotto, e la origine sua si riferisce d'ordinario ai Musulmani. Cotesta opinione manca di prove; poichè i diplomi e le cronache dei primi tempi normanni, quando l'azienda pubblica ritenea quasi tutte le forme del governo precedente, fanno menzione del solo Val Demone.835 I ricordi del Val di Mazara e del Val di Noto non sono nè sì antichi nè sì precisi.836 Nondimeno io accetto il pensamento comune, parendomi la divisione in tre province ordine antico che tornasse su, dopo qualche innovazione temporanea; e riflettendo inoltre che i conquistatori arabi erano necessitati a tripartire l'isola. Volendo giovarsi degli oficii dell'azienda bizantina per la riscossione del tributo fondiario, trovavano le due provincie, Lilibetana e Siracusana, divise dallo Imera Meridionale, ossia fiume Salso; ma com'eglino non possedeano per intero la provincia Siracusana, così doveano distinguere la parte che rimaneva ai nemici, ch'era appunto il Val Demone, dalla parte musulmana che giaceva a mezzodì e chiamossi Val di Noto, e da un po' di territorio a ponente il quale confuso con la provincia Lilibetana si addimandò Val di Mazara. Secondo tal supposto lo scompartimento in tre province tornerebbe alla seconda metà del nono secolo.837

In quell'epoca si potrebbe trovare alsì la ragione dei nuovi nomi delle tre province; delle quali la prima e l'ultima li presero, com'è evidente, da città. La provincia Lilibetana andò chiamata forse di Mazara, per esser questa la città più vicina al Lilibeo,838 non ristorato per anco col nome di Porto di Ali (Marsâ-Alî, Marsala); ovvero perchè sedesse a Mazara il diwân dei beneficii militari, posto fuori dalle città di Palermo e di Girgenti ch'erano circondate di poderi allodiali. La provincia Siracusana potea ben prendere il nome da Noto che vi primeggiava, giacendo Siracusa in rovine, nè sendo risorta da quelle innanzi il decimo secolo. Quanto al Val Demone, l'etimologia si è riferita ai boschi (Vallis Nemorum); si è riferita ai demonii dell'Etna, tenuto spiraglio d'inferno (Vallis Dæmonum); altri più saviamente l'ha tratto da un forte castello, ricordato nelle memorie del nono secolo e abbandonato di certo nel duodecimo. Sembrami più probabile che i nomi della provincia e del castello fossero nati insieme dall'appellazione presa per avventura dagli abitatori di tutta quella regione: Perduranti, cioè, o Permanenti, nella fede, si aggiunga dell'impero bizantino. Perocchè un cronista greco del nono secolo, trattando delle città di Puglia rimase sotto il dominio di Costantinopoli, adopera il verbo analogo a così fatta voce;839 e una delle varianti con che questa ci è pervenuta è appunto Tondemenon che si riferisce, senza dubbio, non al territorio ma agli abitatori.840 La denominazione di valle potrebbe essere arabica al par che latina;841 nel secondo dei quali casi ben potea convenire a un territorio compreso nella vallata tra gli Apennini e l'Etna; nè il nome generico latino o arabico unito a una appellazione greca, farebbe maraviglia nella Sicilia di quei tempi.842

I Cristiani ch'erano tuttavia la maggior parte della popolazione dell'isola, viveano in quattro condizioni diverse, cioè, indipendenti, tributarii, vassalli e schiavi; le quali partitamente prenderemo ad esaminare.

Le popolazioni independenti dai Musulmani chiuse nelle proprie mura e obbedienti, più o meno, all'impero bizantino, riteneano i magistrati e gli ordini anteriori al conquisto. Pure, nell'ultima metà del nono secolo, forza era che seguisse tra loro una vicenda analoga alla restaurazione dei comuni nell'Italia di mezzo dopo il conquisto longobardo. Non potendo l'impero porre presidii per ogni luogo dell'isola, dovea tollerare, anzi procacciare che le terre forti per sito o per numero di cittadini si difendessero dassè, come le città italiane del settimo secolo; il che inevitabilmente accresceva autorità e baldanza all'aristocrazia della curia, base dei corpi municipali. Avvezzi ormai a combattere o patteggiare coi Musulmani; a cospirare col governo bizantino quando talvolta fossero stati soggiogati dal nemico; ad ordinare mosse militari, di accordo coi capitani imperiali di Castrogiovanni o di Siracusa, le città siciliane par che a poco a poco prendessero sembianze di confederate più tosto che suddite. Pertanto le istituzioni municipali, che in Grecia e altrove si dileguarono sotto il forte governo di Basilio Macedone, sì che poi Leone il Sapiente ne cancellò anco il nome, le istituzioni municipali, io dico, doveano rinvigorire, in quel medesimo tempo, nelle città di Val Demone che mantennero l'onor del nome cristiano in Sicilia. Ciò confermano parecchi cenni delle cronache: come sarebbero le pratiche dei Musulmani a Troina l'ottocento sessantasei; la missione d'un decurione per lo riscatto dei prigioni nell'ottantatrè; e tanti casi di guerra cessata o ripresa, nei quali è manifesto che operassero i municipii, non gli oficiali dell'impero. I ricordi ecclesiastici del tempo, dei quali si tratterà in questo capitolo, danno indizio anch'essi della autorità politica assunta dagli ottimati: senza che il sacerdozio non avrebbe con tanta rabbia aguzzato contro costoro il pungolo della satira. L'autorità municipale poi occupò ogni potere, ossia i comuni independenti operarono come repubbliche, negli ultimi anni del nono e i primi del decimo secolo; quando lo impero del tutto li abbandonò.

Pari autorità civile, con minore possanza e niuna gloria, serbarono i municipii della seconda classe di popolazioni, vogliam dire le tributarie. Nei principii del conquisto, tal condizione dovea parer comoda ai vincitori al par che ai vinti; sopratutto ai capi. E veramente, i condottieri musulmani senza fatica imborsavano il danaro e poteano scompartirlo con più largo arbitrio che il bottino; e i magistrati municipali si francavan dai pericoli della guerra, pagando agli Infedeli, poco più o poco meno, quel che soleano mandare a Costantinopoli; poteano inoltre distribuire il peso tra' lor miseri concittadini con maggiore ingiustizia che loro non ne concedessero le leggi dell'impero. Nondimeno l'odio religioso, il sentimento nazionale, e le molestie nascenti dalla licenza e discordia dei vincitori, sturbavano sovente i raziocinii dell'interesse materiale e spingeano l'aristocrazia municipale a spezzare i patti. Perchè quella società non sembri troppo più generosa dell'odierna società europea, si aggiunga lo scapito dei proprietarii, i cui servi e coloni spesso fuggivansi dai poderi; spezzandosi le catene dello schiavo altrui che riparasse in paese musulmano e si convertisse all'islamismo, divenuto liberto di Dio, come dicea Maometto.843 S'aggiunga infine il bisogno che portava le colonie musulmane ad estendersi, e si comprenderà come avvenia sì sovente che le città tributarie si ribellassero o i Musulmani le assalissero con pretesti. Ricadendo sotto il giogo, erano ridotte a vassallaggio: talchè il numero delle tributarie scemò a poco a poco, e poi del tutto mancarono.

Nel tempo che durava tal qualità di popolazioni, l'ordinamento loro è agevole a immaginare. Come nelle città independenti, così nelle tributarie l'autorità dovea risedere nei municipii. Del ritratto dei beni imperiali e comunali, aggiuntevi le contribuzioni su i cittadini, il municipio pagava il tributo detto dai Musulmani gezîa o kharâg;844 la somma del quale dipendea dai patti, e secondo le usanze musulmane si stipolava ordinariamente per dieci anni, dando statichi per sicurtà. È probabile che s'aggiugnesse il patto di svelare ai Musulmani le trame del governo imperiale; favorir le loro imprese e rispettare le persone e averi loro, come veggiamo stipolato da Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân con gli abitatori di Cipro.845

Soggiaceano al vassallaggio le terre prese per forza d'armi o a patti, come dicemmo. Nelle seconde per virtù del trattato, nelle prime per umanità e interesse a non desolare il paese, i Musulmani davano l'amân, o sicurtà, come suona in nostro linguaggio. Lasciate indietro le condizioni occasionali o transitorie di che si è fatta menzione nel racconto, come di consegnare un dato numero di schiavi, abbandonare una parte dello avere e somiglianti stipolazioni, la sostanza dello amân era questa. Cessava nel paese l'autorità politica dei Cristiani. I beni dello Stato, fors'anco del comune, e tutti o in parte i beni ecclesiastici, e quei dei cittadini uccisi o usciti, passavano in proprietà della repubblica musulmana; e insieme con le terre necessariamente andavano i servi o coloni che soleano coltivarle sotto gli antichi signori. Il rimanente della popolazione continuava a vivere secondo le proprie leggi e costumanze; e tutti gli uomini liberi, qual che si fosse lor grado e fortuna, si ragguagliavano dinanzi ai vincitori in unica condizione, che s'addimandava in arabico dsimma e lo individuo dsimmi, che noi diremmo umiliato o suddito. Godeano ordinariamente pieno esercizio del dritto di proprietà.846 La legge musulmana proteggea loro persone e averi con le medesime sanzioni penali che pei Musulmani847 e ammetteva ogni contrattazione civile tra loro e i Musulmani, anche i lasciti per testamento.848 Oltre le condizioni ragionevolmente chiamate essenziali; cioè che non parlassero con irriverenza del Corano, del Profeta, nè dell'Islâm, non dicessero villania a donne musulmane, non ingiuriassero i soldati, non tentassero far proseliti tra i Musulmani e rispettassero i beni loro,849 gli dsimmi andavano sottoposti a tre maniere d'aggravii: di finanza, di polizia civile e di polizia ecclesiastica.

Gli aggravii di finanza addimandavansi gezîa e kharâg; la prima su le persone, il secondo su i beni stabili. La gezîa che suona compensazione, aggiungasi della sicurtà data alle persone e alla roba, era una tassa testatica di quarantotto dirhem all'anno850 su i ricchi, ventiquattro su gli uomini di mezzane facultà, e dodici su i nullatenenti costretti a vivere di lavoro manuale, escluse le donne, i bambini, i frati, gli storpii, i ciechi, i mendici e gli schiavi. Kharâg vuol dire ritratto o rendita. Si levava, come le contribuzioni fondiarie dei tempi nostri, sul fruttato presunto, in ragion composta della estensione del terreno e maniera della cultura: e in alcune province musulmane fu in origine il venti per cento; ma la somma spesso restò invariabile, talchè scemata la rendita, il dazio tornò più grave. La gezîa cessava per conversione all'islamismo. Per contraddizione fiscale, necessaria al mantenimento dello Stato, il kharâg continuava non ostante che il possessore si convertisse, o che il podere passasse in man di Musulmano.851

Ingiuriosi furono e molesti gli statuti di polizia civile. Vietato agli dsimmi di portare armi, montar cavalli, metter selle su' loro asini o muli, fabbricare case più alte o al ragguaglio di quelle dei Musulmani, prendere nomi proprii in uso appo i Musulmani e fin di adoperare suggelli con leggende arabiche. Proibivasi di più che bevessero vino in pubblico, accompagnassero i cadaveri alla sepoltura con pompe funebri e piagnistei; e alle donne loro di entrare nel bagno quando fosservi donne musulmane e rimanervi quando quelle sopravvenissero. E perchè non si dimenticasse in alcuno istante la inferiorità loro, era ingiunto agli dsimmi di tenere un segno su le porte delle case, uno su le vestimenta, usare turbanti d'altra foggia e colore e sopratutto portare una cintura di cuoio o di lana. In strada eran costretti a cedere il passo ai Musulmani; stando in brigata, a levarsi in piè quando entrasse o uscisse uom della schiatta vincitrice.852

Parrà mirabile dopo ciò la tolleranza dei regolamenti di polizia ecclesiastica, che limitavansi a vietare la costruzione di novelle chiese e monasteri, ma non già la restaurazione degli edifizii attuali.853 Del rimanente era lecito alle chiese di redare;854 liberissimo lo esercizio del culto nei tempii e nelle case; ma si inibiva di far mostra di croci in pubblico, leggere il vangelo sì alto che lo sentissero i Musulmani, ragionare del Messia con costoro, e suonare furiosamente campane o tabelle.855 Non si intrometteano i Musulmani nè punto nè poco nelle materie di domma, culto, o disciplina, e proteggeano ugualmente i sudditi cristiani di qualsivoglia setta.856

A condizioni poco diverse il califo Omar aveva accordato l'Amân ai cittadini di Gerusalemme, il quale servì di norma in tutti i tempi, salvo i mutamenti consigliati dalle circostanze o dall'umor dei vincitori. I patti del vassallaggio si osservarono con rigore sotto i governanti duri o bacchettoni, e quando rincrudiva il fanatismo del popolo; si trascurarono più sovente per saviezza e dispregio di chi reggeva, e per la riputazione dei cristiani amministratori delle entrate pubbliche, medici, segretarii, cortigiani, grossi mercatanti, o innalzatisi in qual altro modo sappiano usare lo ingegno e l'astuzia per domare la forza brutale. Gli Ebrei, come ognun sa, e molti ne viveano allora in Sicilia, soggiaceano alle medesime leggi. È bene di notare che quanto ho qui scritto degli dsimmi, quanto dirò degli schiavi, si ritrae dagli esempii d'altri paesi; ma che si dee ritenere prescritto anco in Sicilia, per la medesimità delle circostanze e la uniformità delle costumanze musulmane. Raccoglierò in altro luogo gli attestati risguardanti l'esercizio del culto cristiano in Sicilia, ch'è stato messo in forse per erronei supposti e poca attenzione alle generalità che or ora accennai.

Se dalla condizione degli dsimmi ci volgiamo alle speciali istituzioni civili che fossero rimase loro, son da distinguere le terre abitate da soli cristiani e quelle ove stanziasse con loro qualche colonia musulmana. Nelle prime è probabile che fosse lasciato un avanzo di municipalità: magistrati eletti in qualunque modo dalla popolazione, col tristo carico di riscuotere la gezîa; con le rade cure edilizie che potessero occorrere tra tanta miseria; e di più vegliare su i mercati e amministrare la giustizia civile e penale nelle cause che non toccassero uomini musulmani. La giurisdizione di magistrati cristiani nelle terre di cui ragioniamo non può essere dubbia, quando la si esercitava per certo nelle terre che gli abitavano insieme coi Musulmani.

Queste erano le città o castella di maggiore importanza militare, ovvero economica. In esse credo aboliti i municipii e commesse ad officiali musulmani tutte le parti della polizia urbana. Ma i Cristiani ritennero di certo le corporazioni di mestiere e di quartiere, che per lo più coincideano l'una con l'altra nel medio evo. Così fatte associazioni, che si trovano negli ultimi tempi del dominio romano,857 non furono distrutte al certo dagli Arabi, il cui reggimento n'avea d'uopo, e forse le creò laddove mancassero; perocchè la esecuzione delle leggi penali musulmane dipendea dalla responsabilità reciproca dei membri delle tribù o consorterie. A togliere ogni dubbio, è detto espressamente negli statuti penali che le ammende degli dsimmi debbano pagarsi dai loro 'akila ossiano ascritti alla medesima consorteria, e si vieta ai Musulmani di ascriversi in quelle degli dsimmi.858 La istituzione delle consorterie necessariamente portava seco scelta di capi, vigilanza di costoro a prevenire i delitti la cui pena sarebbe ricaduta su la comunità; e infine, esercizio di giurisdizione civile affidata sia ai capi stessi, sia ad altri magistrati cui designasse la corporazione. A ciò conduceva il principio del compromesso, o vogliam dire giudizio per arbitri scelti dalle parti: giurisdizione unica degli antichi Arabi, come d'ogni popolo barbaro, accettata dai Musulmani, come da ogni popolo più civile,859 e necessaria agli dsimmi che non avean comuni coi vincitori nè religione, nè costumi, nè ordini sociali, nè, per parecchi secoli, il linguaggio. E che tale giurisdizione volontaria fosse stata esercitata assai largamente, lo mostra un capitolo delle istituzioni musulmane relativo ai giudizii delle liti tra gli dsimmi; nelle quali era lasciato ad elezione delle parti di adire il giudice cristiano, ovvero il magistrato musulmano, il quale poi decidea secondo le proprie leggi.860 Durano tuttavia così fatti ordini nelle popolazioni cristiane d'Oriente, ove la giurisdizione conciliativa e correzionale è attribuita per lo più alla gerarchia ecclesiastica, e la si estende molto più che negli stati cristiani, per ripugnanza della gente a richiedere il magistrato musulmano, e per timore delle molestie ed estorsioni di quello.861

Venendo agli uomini di condizione servile, noi lasceremo indietro que' che viveano nella società cristiana sotto l'antico giogo delle leggi romane; se non che dovea mitigarsi lor sorte nelle città independenti e tributarie, per paura che i servi e coloni non si emancipassero rinnegando la fede, e nelle popolazioni vassalle, per lo esempio dei signori musulmani. Appo costoro la schiavitù ebbe origine di tre maniere diverse: uomini liberi presi in guerra; uomini venduti da altri Musulmani o Cristiani che li avessero tolto d'altri paesi per violenza o frode; e in ultimo, com'e' non parmi dubbio, servi della gleba passati in proprietà dei Musulmani insieme coi poderi. L'origine non portava divario nella condizione. I Musulmani chiamavanli indistintamente rekîk, che vuoi dire “minuto o sottile” e memlûk, cioè “posseduto:”862 orribile parola; ma il fatto era più mite; nè la legge tenea gli schiavi come cose più tosto che persone. Se Gregorio il grande meritò bene della umanità pei liberali precetti, non accompagnati sempre dallo esempio, a favor degli schiavi, Maometto va lodato sopra di lui per avere, venti anni appresso la morte di San Gregorio, migliorato assai più la condizione di coteste vittime della forza e dell'avarizia. Non potendo, come già il notammo,863 cassare d'un tratto la schiavitù, fece opera ad alleggerirla ed abbreviarla. Ora in nome dell'Eterno comandava di usare carità agli schiavi come ai figliuoli, congiunti, orfanelli, mendici e viandanti,864 e insinuava di dar loro abilità a riscattarsi col frutto del proprio lavoro.865 Or ponea l'emancipazione d'uno schiavo ad ammenda di omicidio scusabile,866 voto infranto, o ritrattazione di divorzio precipitoso;867 rendea libera di dritto la schiava che avesse partorito un figliuolo al suo signore,868 e chiamava reo di morte il padrone omicida del proprio schiavo;869 comechè egli non abbia sempre fatto osservare questa legge e che la logica dei giuristi l'abbia del tutto annullato.870 Tanto pure avanzò di quei caritatevoli insegnamenti, che lo schiavo, secondo legge musulmana, non può andar messo in catene;871 e che la emancipazione, accordata volentieri dai generosi, carpita quasi dalla legge agli animi duri e taccagni, si effettuava a capo di parecchi anni di servigio; sopratutto venendo a morte il padrone, e fattosi musulmano lo schiavo.872 Superfluo parmi d'avvertire che la schiavitù sotto gli Arabi inciviliti del nono secolo, non va punto rassomigliata a quella appo i pirati barbareschi, vergogna dell'Europa infino ai principii del secol nostro. Potrebbe per avventura farsi il ragguaglio con gli Stati cattolici e feudali del medio evo e con le due nazioni più giovani del mondo, cristiane entrambe e modello l'una di dispotismo, l'altra di libertà: e la bilancia penderebbe sempre a favor degli Arabi.

807.Giovanni VIII, epistole CCLXV e CCLXX, presso il Labbe, vol. c., p. 191, 195; e la seconda anche appo il Baronio, Annales Ecclesiastici, anno 881, § 2.
808.Erchemperti Historia, cap. XLIX, copiato dall'Anonimo Salernitano, cap. CXL, stampato per errore CL, nella edizione del Pratilli. Ritraggo la tradizione popolare dal Caraccioli, il quale ricorda qui il proverbio che si serbava ai suoi tempi: “Quattro sono i luoghi della Saracina: Portici, Cremano, la Torre, e Resina.”
809.Erchemperto, l. c.
810.Baronio, Annales Ecclesiastici, anno 882, § 2.
811.Giovanni VIII, epistola CCXCIV, presso il Labbe, vol. c., p. 210; e presso il Baronio, Annales Ecclesiastici, anno 881, § 6.
812.Erchemperti, Historia, cap. XLIX.
813.Baronio, l. c.: aliquantos utiles et optimos Mauriscos cum armis, quos Hispani cavallos alpharaces vocant.
814.Pietro Suddiacono, continuatore di Giovanni Diacono di Napoli, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte II, p. 316.
815.Leonis Ostiensis, lib. I, cap. XLIII, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo IV, p. 316, 317. Non si sa ond'egli abbia tolto questo racconto, d'altronde verosimile e non sospetto. Non lo cavò certo da Erchemperto, nè dalla Cronica di San Michele in Volturno, citati per errore dal Wenrich, Commentarii, lib. I, cap. X, § 88. Leone dice espressamente che i Musulmani venissero di Agropoli; il che porterebbe la fermata loro a Itri verso l'autunno dell'882, e quella al Garigliano un poco appresso, forse nell'883, dopo la morte di Giovanni VIII.
816.Erchemperti Historia, cap, LI.
817.Erchemperto, cap. XLIV, e l'Anonimo Salernitano accennano appena l'arsione del monastero; al solito loro, senza data. La Cronica del monastero, pubblicata dal Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte II, p. 404, seg., racconta, com'è naturale, molti particolari; ma l'autore visse tra la fine del decimo e il principio dell'undecimo secolo; la sua narrazione pare esagerata, almeno nel numero dei frati uccisi, ch'ei porta a 500 o 900; e vi troviamo in due luoghi diversi due diverse date del fatto; cioè a p. 332 l'anno undecimo di Basilio Macedone (878), e a p. 400, l'anno 882, indizione 15ª. Si vede dunque che le memorie ch'ebbe alle mani il compilatore, com'ei medesimo confessa, non si accordavano punto. Io mi sono appigliato alla data dell'882, sapendosi che passò poco tempo tra la distruzione di questo monastero e quella di Monte Cassino.
818.Tra le varie date che si assegnano alla distruzione di Monte Cassino, mi sono appigliato a quella dell'883, che risponde alla 2ª indizione, notata da Leone d'Ostia; e che d'altronde si legge nell'Anonimo Salernitano, il quale ebbe alle mani al certo buoni esemplari di Erchemperto. La riedificazione ricominciò l'886, secondo Erchemperto, e l'884, secondo l'Anonimo. Si confrontino: Erchemperti Historia, cap. XLIV e LXI; Anonymi Salernitani Chronicon, cap. CXXXVI, e CXLIV della edizione di Pratilli; Chronicon Vulturnense, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte II, p. 405; Leonis Ostiensis Historia, lib. I, cap. XLIV, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo IV, p. 317. Merita d'esser letta a questo proposito un'opera moderna, la Storia della Badia di Monte Cassino, di Don Luigi Tosti, dotto monaco, il quale aggiunge alcuni particolari cavati da una vita manoscritta di Bertario, e li abbellisce con zelo lodevole in lui, e con pulito e dignitoso stile; tomo I, p. 65, seg.
819.Erchemperto, cap. LI.
820.Erchemperto, cap. LIV.
821.Erchemperto, cap. LVI, LVII; Anonimo Salernitano, cap. CXLII, edizione di Pratilli.
822.Veggasi per costui la nota 1, p. 452
823.Erchemperto, cap. LV; Anonimo Salernitano, cap. CXLII, edizione di Pratilli.
824.Erchemperto, cap. LVIII; Anonimo Salernitano, cap. CXLIII, edizione di Pratilli.
825.Veggasi per costui la nota 1, p. 452.
826.Erchemperto, cap. LXXIX.
827.Chronicon Vulturnense, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte II, p. 407.
828.Erchemperto, cap. LXVI; Anonimo Salernitano, cap. CXLV, ediz. di Pratilli.
829.Anonimo Salernitano, cap. CXLV, edizione di Pratilli.
830.Erchemperto, cap. LXXIII.
831.Erchemperto, cap. LXXV, LXXVII; Anonimo Salernitano, edizione di Pratilli, cap. CXLVII.
832.Erchemperto, cap. LXXVI; Anonimo Salernitano, edizione di Pratilli, cap. CXLVII.
833.Questo fatto si legge nello Anonimo Salernitano, cap. CLVI, ediz. di Pratilli.
834.Così penso, perchè al tempo di Edrisi (1154) il Val Demone arrivava a Caronia; il qual confine va attribuito a cagione politica più tosto che a necessità di geografia fisica. Nel XIV secolo il Val Demone fu esteso verso ponente; assegnatogli un confine naturale, cioè l'Imera settentrionale, detto altrimenti Fiume Grande.
835.Veggansi questi ricordi qui appresso p. 468, nota 4.
836.Le autorità citate dal Di Gregorio, Considerazioni su la Storia di Sicilia, lib. II, cap. II, note 24, 25, 26, fanno menzione del Val di Milazzo, Val di Mazara, Val di Noto e Val di Agrigento, oltre il Val Demone. Il Di Gregorio, che non vide chiaro negli ordini anteriori ai Normanni, supponea che la divisione in tante valli “ch'era forse solamente geografica” fosse stata adottata da re Ruggiero come divisione politica. Pochi righi appresso si contraddice, affermando che re Ruggiero istituiva i tre giustizierati di Val Demone, Val di Noto, e Val di Mazara; il che mostrerebbe che le province di Milazzo e Agrigento non fossero entrate nella divisione politica. A me la spiegazione più semplice pare, che la voce vallis debba intendersi nei detti diplomi col significato indistinto di territorio, da potersi adattare a città o distretto o provincia; come appunto la voce arabica iklîm, che probabilmente si leggea nei registri dell'azienda pubblica, e fu tradotta bene o male vallis. Può anche darsi che la divisione in tre province fosse stata adoperata dagli Arabi in alcuni rami di amministrazione, e in altri rami un'altra. Per esempio, nulla toglie che gli iklîm di Milazzo e Agrigento fossero stati due circoscrizioni di beneficii militari, assegnate ciascuna ad un giund.
837.È bene qui ricordare che nella prima metà del XIII secolo, Federigo imperatore tornò alla divisione romana in due province; la quale durò almeno fino alla rivoluzione del Vespro. Poi veggiamo ricomparire i giustizieri delle valli di Milazzo, Castrogiovanni e Demona. (Diploma del 1302, presso Pirro, Sicilia Sacra, p. 410.) Nei principii del XV secolo la Sicilia fu divisa in quattro valli: Demona, Noto, Castrogiovanni, e Girgenti. (Censo feudale del 1408, presso Di Gregorio, Bibliot. Aragon., tomo II, p. 490.) In fine si tornò alle tre valli.
838.La mutazione del nome di Lilibeo in Porto di Ali, fa supporre che quella città fosse stata distrutta al tempo del conquisto musulmano, o forse prima. Le città non abbandonate, assai di rado presero novelli nomi.
839.Theophanes continuatus, lib. V, cap. LVIII, p. 297. Καὶ τὸ ὰπὸ τούτου διέμειναν πιστοὶ βασιλεῖ τοιοὺτων έξηγούμενοι κάστρων. Questa voce si trova anche nel Nuovo Testamento, Luca, XXII, 28.
840.Il participio presente del verbo διαμένω (permaneo, perduro) al genitivo plurale farebbe τῶν διαμενόντων, che l'uso volgare forse contrasse in Ton Demenon.
841.L'arabico welâia significa territorio, giurisdizione o uficio di wâli; e wâli si dice di varii magistrati preposti a province, ovvero a rami speciali di amministrazione pubblica.
842.Ecco in serie cronologica gli scritti ove occorre Demona con le sue varianti, prima come nome di città, poi di provincia:
  I. Anno 902. Assedio e presa di Dimnsac (con la terminazione nel suono che daremmo alla s e alla c unite dinanzi una i, ossia quello della ch in francese e sh in inglese). Veggasi Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo II, fog. 92 e 167 verso; MS. C, tomo IV, fog. 246 verso; e MS. di Bibars, il solo ove si legga correttamente. Ibn-el-Athîr, ancorchè vissuto nel XIII secolo, trascriveva in questo passo ricordi derivati dal IX.
  II. Anno 963. Nome di Dimnasc dato a una gola di monti presso Rametta. Veggasi Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 16, correggendo la lezione secondo uno dei MSS. di Parigi. Valga, per l'antichità del ricordo, la stessa avvertenza che feci di sopra per Ibn-el-Athîr.
  III. Verso la fine del decimo secolo, la Biografia di San Luca, abate del monastero di Armento in Calabria, dice costui siciliano di Demena. Presso Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 96.
  IV. Malaterra, libro II, cap. XII, scrivendo, alla fine dell'undecimo secolo, del secondo sbarco del conte Ruggiero in Sicilia (1060) dice: Hic Christiani in valle Deminæ manentes, sub Saracenis tributarii erant. Presso Caruso, Bibliotheca Historica, tomo I, p. 181, e presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo V, p. 539, seg.
  V. Anno 1082. Diploma, del conte Ruggiero, che concede al vescovo di Troina… in valle Deminæ castrum quod vocatur Achareth. Presso Pirro, Sicilia Sacra, p. 495.
  VI. Anno 1084. Altro diploma del conte Ruggiero a favor del monastero di Sant'Angelo, de Lisico Tondemenon. Presso Pirro, op. c., p. 1021.
  VII. Anno 1093. Diploma per lo stesso monastero chiamato qui Sancti Angeli de Lisico de valle Dæmanæ. Presso Pirro, l. c.
  VIII. Anno 1096. Diploma, nel quale descrivendo i confini della diocesi di Messina, si dice: … usque ad Tauromenium, et respondet ad Messanam, et vadit usque ad Melacium, et respondet ad Demannam, et inde vadit per maritimam usque ad Flumen Tortum, et ascendit per flumen ec. Nello stesso diploma si ricorda la donazione del castellum Alcariæ apud Demennam. Presso Pirro, op. c., p. 383. È evidente che Demenna in entrambi i luoghi citati sia nome di provincia, poichè da Milazzo in poi non si notano più i nomi di città che sarebbero Patti, Caronía e Cefalù, ma sì il confine della provincia, il quale si sa che terminavasi a Caronía.
  IX. Diploma del 1097, per lo quale il conte Ruggiero concedette certi beni al monastero di San Filippo di Demena. Questo diploma è trascritto in uno di Adelasia e del conte Ruggiero Secondo, poi re, dato l'anno 6618 (1110), che il Pirro pubblicò in latino, a p. 1027, con la data erronea del 6628. Niccolò Buscemi ha corretto quella data, stampando il testo greco con una versione italiana, nel Giornale Ecclesiastico per la Sicilia, tomo I (1832), p. 113, seg. Ma il Buscemi stampò male la voce Δε-Μεννα; poichè il tratto d'unione, come lo chiamano gli oltramontani, è segno ortografico ignoto ai Greci, e non si trova punto nell'originale, posseduto dal principe di Trabia; diploma di belli e nitidi caratteri, del quale ho depositato un fac-simile nella Biblioteca imperiale di Parigi.
  X. Anno 1124. Diploma del medesimo Ruggiero Secondo, a favore di detto monastero chiamato Abbatia in valle Dæmanis. Presso Pirro, op. c., p. 1027.
  XI. Anno 1131. Diploma del vescovo di Messina, che assoggetta allo archimandrita di quella città parecchi monasteri greci della diocesi; tra gli altri quello di Sanctum Barbarum in Demeno. Presso Pirro, op. c., p. 974.
  XII. Anno 1134. Diploma di Ruggiero Secondo, su lo stesso argomento. Vi si noverano i monasteri assoggettati all'archimandrita, e tra quelli Sanctum Barbarum de Demenna, e alcuni altri independenti, tra i quali Sanctum Philippum de Demenna. Pirro, op. c., p. 975.
  XIII. Edrisi, che pubblicò la sua famosa opera geografica il 1154, descrivendo la costiera di Sicilia a dritta di Palermo, pervenuto a Caronía, nota che quindi cominciasse la provincia (iklîm) di Dimnasc, come leggiamo nel migliore dei MSS. Edrisi, nella minuta descrizione che fa della Sicilia, non parla di città o castello nominato Dimnasc.
  Confrontando le quali testimonianze, e avvisandomi che nei diplomi notati dal nº VI al XII si tratti anco della provincia, io credo provata la esistenza di Demana castello infino al decimo secolo, di Demana provincia dall'undecimo in poi; ma parmi assai dubbio che il castello durasse fino all'undecimo secolo, e certo che a metà del duodecimo fosse abbandonato o avesse mutato nome. Quanto al sito del castello non abbiamo argomenti da determinarlo: se non che il nome topografico, che si legge nella descrizione della battaglia di Rametta (963), dà indizio che Dimnasc si trovasse a ponente di quella città. Forse a quattro o cinque miglia, là dove è oggi Monforte: nome di castello registrato da Edrisi, e nato probabilmente dopo il conquisto normanno; nome anco di feudo nei tempi normanni, come leggiamo nel Dizionario Topografico del D'Amico.
843.Hedaya, tomo I, lib. V, cap. I, p. 435; D'Ohsson, Tableau général de l'Empire Ottoman, tomo VI, p. 3; Kodûri, presso Rosenmuller, Analecta Arabica, § X, p. 3 del testo.
844.In sostanza era l'uno e l'altro, cioè assicurazione delle persone e delle proprietà. Le cronache soglion dare al tributo la prima di queste appellazioni; Mawerdi lo denota con la seconda, nel trattato di dritto pubblico intitolato Ahkâm-Sultanîia, lib. IV, p. 83; Kodûri, op. cit., § XLVI, p. 12, lo chiama gezîa.
845.Ibn-Khaldûn, sezione II, MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 742 quinquies, tomo II, fog. 181 recto. Il tributo annuale di Cipro, secondo Ibn-Khaldûn, sommò a 7000 dinar, quanti l'isola ne solea pagare all'impero bizantino. Le altre condizioni rispondono in parte a quelle imposte agli dsimmi.
846.Mawerdi, Ahkâm-Sultanîia, lib. XIII e XIV, p. 238 e 255, seg.; Hedaya, tomo II, lib. IX, cap. VIII, p. 211; D'Ohsson, Tableau général de l'Empire Ottoman, tomo V, p. 95. Secondo Mawerdi, il dritto di proprietà lasciavasi talvolta intero, talvolta si riduceva a mero dominio utile.
847.Hedaya, lib. XLIX, cap. II, e lib. L, nel tomo IV, p. 280 e 332. Nondimeno questo è dei capi lasciati incerti dal Corano e dalla Tradizione, ovvero oscurati dalla logica dei giuristi. Così Mâlek e Sciafe'i combatteano la uguaglianza di pena nei reati contro gli dsimmi, al dire di Beidhawi, Comento del Corano, testo arabo, tomo I, p. 99, sul versetto 175 della sura II. Dovea parere scandaloso, in vero, che l'uccisore d'una donna musulmana pagasse metà dell'ammenda, stabilita in prezzo del sangue di un uomo musulmano, o dsimmi.
848.Hedaya, lib. LII, cap. I, tomo IV, p. 473.
849.Mawerdi, Ahkâm-Sultanîia, lib. XIII, p. 250, chiama coteste condizioni mostahekk, cioè “necessarie,” e nota non esser uopo di stipolarsi espressamente. Le altre che seguono son dette da lui mostahebb, ossia “volontarie,” e dipendono da patti espressi.
850.In peso di metallo tornerebbe a lire 28, 80.
851.Tratterò largamente questa materia e il diritto di proprietà territoriale nel cap. I del Libro III, abbozzando gli ordini della colonia musulmana di Sicilia.
852.Tra le condizioni che si dicono stipolate coi figliuoli di Witiza, in premio d'avere tradito Rodrigo alla giornata del Guadalete, si legge che andassero esenti dall'obbligo di alzarsi alla entrata o uscita dei Musulmani. Ibn-abi-Fiadh, citato da Ibn-Scebbât, MS. di M. Rousseau, p. 98.
853.Il dritto si stabilì in cotesti termini, non ostante che Omar avesse stipolato, com'egli è indubitabile, il divieto della restaurazione.
854.Su questo diritto veggasi l'Hedaya, lib. LII, cap. VI, tomo IV, p. 534, seg.; e D'Ohsson, Tableau général de l'Empire Ottoman, tomo V, p. 120, seg. È inutile aggiungere che in oggi tutte le Chiese cristiane in Oriente posseggono beni.
855.Ho compilato questa esposizione su le autorità seguenti: Accordo di Omar coi Cristiani di Siria, secondo Ibn-Khaldûn, sezione IV, MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 742 quinquies, tomo IV, fog. 181 recto, seg.; Mawerdi, Ahkâm-Sultanîia, lib. XIII, p. 250, seg.; Kodûri e Sîdi-Ali-Hamdâni, testi arabi pubblicati dal Rosenmuller, Analecta Arabica, p. 13, seg., il primo, e 20, seg., il secondo; Statuti promulgati in Egitto l'anno 700 (1300), secondo Ibn-Khaldûn, l. c.; Fetwa (ossia avviso legale), di Ibn-Nakkâsc (scritto Naqquâch), dottore, morto al Cairo il 1362. Una versione francese di questo fetwa è stata pubblicata da M. Belin nel Journal Asiatique, série IV, tomo XVIII, p. 417, seg., (1851), e tomo XIX, p. 97, seg., (1852); Hedaya, lib. IX, cap. VIII, tomo II, p. 211, seg.; D'Ohsson, Tableau général de l'Empire Ottoman, tomo V, p. 104, seg. Ho tolto via le condizioni di poco momento, e quelle che mi sembravano dipendenti da circostanze locali.
  Correndo tante copie diverse dello accordo di Omar, ch'è tipo di tutti gli altri, parmi bene fare un sunto esatto del testo che ne dà Ibn-Khaldûn nel luogo citato, il quale mi sembra più compiuto di quanti se ne leggono qua e là, non escluso il testo di Kodûri. Lo credo altresì degno di attenzione per la bizzarra forma diplomatica, e perchè vi si trova il nome dei Cristiani di Egitto oltre quei di Gerusalemme e la assimilazione degli ortodossi agli scismatici.
  “Questo è uno scritto indirizzato al Servo di Dio Omar dai Cristiani di Siria e d'Egitto. Quando veniste a noi, vi chiedemmo l'amân per le nostre persone, figliuoli, beni e gente di nostra religione; onde stipulammo di non fabbricare nelle nostre città o nei dintorni alcun novello monastero, nè chiesa, nè romitaggio, nè riparare quelli che andassero in rovina nelle strade abitate da Musulmani. Stipulammo di più di lasciar entrare in quegli edifizii i capi e i viandanti, e dar ospizio e vitto per tre dì ad ogni Musulmano che ce ne richiedesse. Inoltre abbiamo pattuito di astenerci dalle cose seguenti:
  “Dare ricetto nelle chiese e case a spie che venissero ad esplorare le faccende dei Musulmani;
  “Leggere il Corano ai nostri figliuoli;
  “Promuovere la nostra religione facendo proseliti;
  “Attraversare i nostri parenti che volessero farsi Musulmani.
  “Di più, permetteremo ai Musulmani di sedersi nelle nostre brigate; e alla entrata loro ci leveremo in piè
  “Non imiteremo lor fogge di vestimento, berretti e turbanti.
  “Non piglieremo lor nomi nè soprannomi.
  “Non monteremo a cavallo con sella.
  “Non cingeremo spada nè altre armi.
  “Non terremo suggelli con leggende arabiche.
  “Raderemo i capelli su la fronte.
  “Riterremo le nostre attuali fogge di vestire, ove il potremo.
  “Cingeremo ai fianchi il zunnar (cintura di cuoio).
  “Non mostreremo le croci.
  “Non apriremo fogne nelle strade o mercati dei Musulmani.
  “Non suoneremo le tabelle in alcuna città abitata da Musulmani.
  “Non usciremo coi nostri doppieri, nè i nostri taghût (idoli).
  “Non faremo piagnistei pei morti.
  “Non li porremo presso i Musulmani.
  “Non accenderemo fuochi nelle strade o mercati di Musulmani.
  “Non prenderemo appo di noi gli schiavi appartenenti a Musulmani.
  “Non cercheremo di guardare entro le case dei Musulmani.
  “Non inalzeremo le nostre (più delle loro).”
  Omar, lette tali proposizioni, aggiunse: che non battessero alcun Musulmano; che stipulassero per sè e loro correligionarii (solidariamente); e che, accettato l'amân a cotesti patti, chiunque li trasgredisse, non fosse più tenuto come dsimmi, rimanendo fuor della legge. Di più, estese l'amân ai dissidenti (cristiani), e scrissevi: “Omar accorda quanto chieggono.”
856.Veggansi l'amân di Omar in fine della nota precedente, e il passo di Mawerdi qui appresso, p. 481, nota 1.
857.Veggasi Depping, Histoire du Commerce, etc., tomo II, cap. VII.
858.Hedaya, lib. LI, tomo IV, p. 459.
859.D'Ohsson, Tableau général etc., tomo V; Hamilton, Prefazione all'Hedaya, tomo I, p. XXXIV.
860.“E quand'essi facciano scisma in religione, o contendano su loro ortodossia, non siano molestati nè costretti a palesare qual credenza tenessero. Nelle cause loro, se adiscano loro hâkim (magistrato in generale) non ne siano impediti; ma se richieggano il nostro hâkim, questi giudichi secondo ragion musulmana, e gli accusati subiscano le pene che fossero per meritare. Chi poi abbia violato il patto (di vassallaggio), ne soffra le conseguenze, e sia tenuto come nemico.” Così Mawerdi, Ahkâm-Sultanîia, lib. XIII, p. 252.
861.La giurisdizione dei consoli europei in Oriente è fondata su lo stesso principio del compromesso. L'hanno convalidato ed esteso i trattati; nel medio evo, per interesse commerciale; poscia, per necessità politica dei principi musulmani.
862.La voce 'abd, che si adopera in senso mistico, come sarebbe Abd-Allah (servo di Dio), e che nel Corano designa anche gli schiavi, fu poi ristretta dall'uso ai Negri. I Bianchi, oltre le due denominazioni che ho dato, si chiamavano talvolta gholâm, che propriamente significa “garzone.”
863.Libro I, cap. III, p. 63.
864.Corano, sura IV, verso 40.
865.Corano, sura XXIV, verso 33.
866.Hedaya, libro XLIX, cap. I, tomo IV, p. 277.
867.Hedaya, lib. IV, cap. VII, e lib. VI, cap. III, tomo I, p. 332 e 500.
868.Hedaya, lib. V, cap. VII, tomo I, p. 478, seg.
869.Mishcat-ul-Masabih, lib. XIV, cap. I, tomo II, p. 163.
870.Veggansi l'Hedaya, lib. XLIX, cap. II, tomo IV, p. 279 e 283; e Beidhawi, Comento del Corano, testo arabico, tomo I, p. 99, sul verso 173 della sura II, ove si legge che Maometto una volta fe' vergheggiare e bandì per un anno un Musulmano uccisore del proprio schiavo. La ragione non spiegata dai giuristi musulmani, mi sembra pur evidente. La legge non ammetteva azione pubblica per l'omicidio; e l'azione privata, nel caso d'uno schiavo ucciso dal padrone, apparteneva allo stesso omicida.
871.Hedaya, lib. XLIV, tomo IV, p. 126; D'Ohsson, Tableau général de l'Empire Ottoman, lib. III, tomo IV, p. 276.
872.Veggasi D'Ohsson, op. c., lib. VI, tomo VI, p. 58; e su i varii modi e gradi dell'emancipazione tutto il libro V dell'Hedaya, tomo I, p. 419, seg.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
28 сентября 2017
Объем:
701 стр. 2 иллюстрации
Правообладатель:
Public Domain

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