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Читать книгу: «Fra Tommaso Campanella, Vol. 2», страница 15

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Continuarono il 29 agosto gli esami ripetitivi contro fra Dionisio. – E dapprima il Petrolo disse di avere, fin da quando era novizio, conosciuto fra Dionisio, ed averlo poi veduto due volte in Stilo di passaggio, oltrechè in Stignano, l'ottava del Corpo di Cristo, quando fece una predica sul SS.mo Sacramento che non si poteva sentire più bella «et tutti la laudorno» (la predica egli menzionava, il pranzo in casa Grillo no). Disse di non aver mai udito eresie dalla bocca di lui, ma solamente udito da fra Pietro di Stilo che egli, fra Dionisio, aveva dette al Lauriana alcune parole contro il SS.mo Sacramento, oltrechè aveva commesso qualche peccato di carne della peggiore specie. Rispose quindi su tutti gli interrogatorii negativamente: e dietro dimande d'ufficio disse che fra Dionisio era veramente amico del Campanella, ma egli non sapeva che il Campanella gli avesse comunicato eresie, nè aveva mai detto che il Campanella discorresse di eresie alla scoperta, mentre invece ne discorreva in modo che solamente qualcuno poteva intenderle. Sugli articoli del fiscale rispose del pari negativamente. – Fra Pietro di Stilo disse di aver conosciuto fra Dionisio ed averlo veduto tre volte in Calabria, due volte in Stilo ed una volta in Briatico quando andava contro fra Gio. Battista di Polistina; e dichiarò di averlo ritenuto sempre un ciarliero e vendicativo, ma non cattivo nelle cose di fede. Dimandato di ufficio se avesse almeno udito dire qualche cosa contro di lui in materia di fede, rispose che una volta il Lauriana gli cominciò a dire qualche cosa contro di lui, «ma non finì»; ed avvertito di non dir bugie, rispose che non aveva potuto comprenderlo (oramai fra Pietro era in vena di difender tutti, anche tirandola un po' troppo). Insomma non ebbe nulla a dire contro fra Dionisio, eccetto che era «scaccione, ciò e chiacchiarone», e riuscì negativo su tutti gl'interrogatorii e così pure sugli articoli: segnatamente sull'ultimo articolo, che diceva avere fra Dionisio creduto, insegnato o cercato d'insegnare tutte le opinioni eretiche del Campanella, egli rispose di non aver mai udito dire tali cose contro la fede da niuno di loro. Ed aggiunse, spontaneamente, che stando in Pizzoni ed avendo udito frati e secolari sparlare di fra Dionisio pe' suoi discorsi di cose lascive, avendogli anzi Claudio Crispo detto che pure nel discorrere la prima volta col Soldaniero si era comportato egualmente e costui n'era rimasto scandalizzato, egli nel passare per Soriano andando ad Arena, poichè il Soldaniero l'interrogò circa il Campanella e gli disse che fra Dionisio era un cervellino, lo pregò di tacere quanto fra Dionisio gli aveva detto, essendo nella natura di lui il ciarlare con tutti, ed intese di alludere a' discorsi di cose lascive; (così volle sopprimere la circostanza dell'aver lui portato una lettera del Campanella al Soldaniero, e veramente la tirò un po' troppo). – Da ultimo il Soldaniero, e successivamente Valerio Bruno, vennero entrambi interrogati in via supplementare sul fatto dell'espulsione di fra Dionisio e del Pizzoni dal convento di Soriano per parte del Priore e del Lettore. Il Soldaniero confermò che nel secondo giorno in cui que' frati gli aveano parlato di eresie, il Priore, dietro il suo reclamo, li cacciò entrambi, e poi gli disse, «che ti pare, non te l'ho fatti sfrattare?» ed egli rispose, «havete fatto bene». Valerio Bruno confermò egli pure che que' frati furono cacciati nel secondo giorno in cui il Soldaniero avea parlato al Priore ed al Lettore, ed aggiunse che gli aveva veduti partire; (ma oltrechè il Priore e il Lettore lo negavano, era stato pure da entrambi questi testimoni affermato che fra Dionisio aveva fatta una predica in Soriano, e ciò non si accordava coll'espulsione).

Evidentemente anche per fra Dionisio le prove testimoniali riuscivano sempre meno gravi in questi esami ripetitivi. Fra Pietro di Stilo deponeva a favore di lui, e il Petrolo non l'accusava menomamente. L'accusava bensì il Lauriana, ma costui, che non sapeva più dar conto di nulla, era stato già dichiarato testimone falso dal Pizzoni medesimo che ne aveva diretto i passi. Non rimanevano dunque contro fra Dionisio che il Pizzoni e Giulio Soldaniero con Valerio Bruno: tuttavia il Pizzoni si andava scovrendo di una morale assai disputabile, ed intento solo ad accusare gli altri per iscusare sè medesimo; il Soldaniero poi non poteva riuscire ad accreditarsi, mentre sosteneva essergli state fatte tante confidenze in materia di eresie durante una prima visita di fra Dionisio (bisognava conoscere a fondo il modo di agire di costui per ammetterlo), ed oltracciò confessava di aver prima confabulato co' Polistina nemici capitali di fra Dionisio, continuava a deporre fatti indubitatamente falsi come l'espulsione di fra Dionisio e del Pizzoni dal convento, e mostrava abbastanza chiaramente di avere indettato il suo fido Valerio Bruno (come il Pizzoni avea fatto col Lauriana) e spintolo a deporre ciò che ad esso Valerio non constava, per far risultare più credibili le proprie deposizioni. Nè occorre dire che la condotta iniqua de' primi processanti, entrambi devoti alla fazione de' Polistina, accertata anche dal Pizzoni testimone del maggior peso contro fra Dionisio, faceva apparire per lo meno esagerata la colpabilità di costui e di tutti gli altri inquisiti.

Siffatti apprezzamenti, che sorgono spontanei nell'animo di chiunque sia fornito di una dose anche discreta di equanimità, non potevano non sorgere nell'animo del Vescovo di Termoli, che al rigore di un vecchio Commissario del S.to Officio sapeva accoppiare un senso squisitissimo di giustizia. E ci è rimasto di lui un documento che lo dimostra abbastanza bene, rivelandoci ciò che l'agitava a questo periodo della causa: poichè precisamente alla fine del volume che comprende il processo offensivo e ripetitivo, in uno de' folii esuberanti rimasti in bianco, troviamo un quadro di note ed appunti che egli redigeva intorno alla colpabilità di ciascuno inquisito, note ed appunti incompleti e in qualche tratto vergati con parole tanto abbreviate da rendersi poco intelligibili, ma in somma esprimenti le diverse contradizioni, inverosimiglianze, falsità, ed accuse rimaste infondate, che emergevano dalle deposizioni raccolte. I lettori troveranno questo quadro tra' Documenti 189: d'altronde vedremo in sèguito, dopo il processo difensivo, ciò che il Vescovo scriveva a Roma intorno alla causa, e il concetto che in ultima analisi se n'era formato.

Non appena esaurite le ripetizioni, nello stesso giorno 29 agosto 1600 i Giudici deliberarono di devenire alla spedizione della causa e al processo difensivo: pertanto disposero che fosse subito inviato al S.to Officio di Roma una copia del processo tanto informativo che ripetitivo; e sappiamo che l'8 settembre questa copia fu mandata al Nunzio dal Vescovo di Termoli insieme con una sua lettera, e che nella stessa data il Nunzio la trasmise al Card.l di S.ta Severina, accompagnandola con un'altra lettera sua, in cui partecipava le sollecitazioni che spesso riceveva da' ministri Regii desiderosi di potere spedire la causa della ribellione190. Diremo ora anche qui, innanzi tutto, in che modo si procedeva nelle difese. Un decreto fermava che ciascuno inquisito avesse una copia del processo (copia repertorum), ma senza nome e cognome di coloro i quali aveano deposto, «secondo lo stile del S.to Officio»; che inoltre fosse avvertito aver facoltà di scegliersi un Avvocato e procuratore a suo piacere, bensì persona cognita ed approvata dalla Curia, fornita de' requisiti necessarii, e con ciò un termine di tanti giorni per fare ogni e qualunque difesa, se intendesse e volesse farne: questo decreto era da' Giudici medesimi partecipato di persona a ciascuno inquisito, che facevano tradurre al loro cospetto separatamente. Scelto l'Avvocato, o dall'inquisito, o in mancanza dai Giudici, d'ufficio, costui recavasi nella casa di qualcuno de' Giudici a prestare il giuramento nelle mani di lui, inginocchiato, toccando i Santi Evangeli e promettendo di fare «le giuste difese» del tal di tale secondo lo stile del S.to Officio. Il Notaro e Mastrodatti consegnava allora al più presto le copie de' reperti a ciascuno inquisito, e redigeva sempre un atto di questa consegna e del seguìto ricevimento in presenza di quattro testimoni (i soliti carcerieri e carcerati) decorrendo dalla data di quest'atto il termine per le difese: talvolta pure, sia d'ordine de' Giudici, sia dietro spontanea deliberazione dell'inquisito, redigeva o autenticava una dichiarazione, in cui l'inquisito manifestava di volersi difendere, ovvero di non volersi difendere riposando nella giustizia e pietà dei Giudici, ed avendo per rato, fermo e valido quanto essi ordinerebbero, ciò che poteva farsi anche durante lo svolgimento delle difese. Mettendosi d'accordo coll'Avvocato, allorchè voleva difendersi, l'inquisito redigeva e presentava una serie di così dette eccezioni ossia articoli, in ciascuno de' quali eccepiva, poneva e voleva provare un dato fatto in sua discolpa, affermando per solito ogni volta che esso era vero, verissimo, come constava a coloro che lo sapevano o l'avevano udito: e quasi sempre cominciando dai fatti della sua buona vita fin dalla tenera età, passava, mano mano, a' fatti delle inimicizie che aveva incontrate, alla mala condotta e speciale odiosità de' testimoni che intendeva o supponeva aver deposto a suo carico191, alla falsità ed erroneità delle imputazioni fattegli, a tutti gl'incidenti che spesso si verificavano durante i processi. Oltracciò dava una lista di testimoni a difesa, indicandone anche la residenza, i quali dovevano essere esaminati sopra tutti o sopra alcuni determinati articoli. Dal canto suo il fiscale, sugli articoli presentati, faceva ed esibiva i suoi interrogatorii, ed istantemente chiedeva che i testimoni fossero esaminati prima sopra di essi e poi sugli articoli: gl'interrogatorii erano preceduti dalle solite ammonizioni, ed esigevano le solite informazioni sulla persona del testimone, e poi le informazioni su' fatti posti negli articoli con tutte le relative circostanze, terminando con un appello alla diligenza de' Signori Giudici. In somma si teneva la via medesima del processo ripetitivo ma all'inversa: gli articoli erano presentati dall'inquisito assistito dal suo Avvocato, e gl'interrogatorii erano presentati dal fiscale; e però questi ultimi erano sempre redatti senza tante sottigliezze e con molto maggiore concisione. Dobbiamo anche dire che i Giudici talvolta cassavano qualche articolo contenente fatti già enunciati in altri articoli, e il processo presente ce n'offre un esempio; inoltre non accoglievano mai tutti i testimoni dati se erano assai numerosi, come sovente accadeva, ma ne sceglievano un certo numero a loro piacere. S'intende poi che l'Avvocato non assisteva alle sedute del tribunale, ma poteva all'occorrenza fare una comparsa e più tardi presentare una vera e propria Difesa scritta, come ne conosciamo in gran numero pervenute sino a noi192. Figurava poi sempre quando esauriti gli esami testimoniali e consegnatane una copia all'inquisito, costui era citato «ad dicendum», e neanche nel tribunale ma nella casa di abitazione di uno de' Giudici. Quest'ultima circostanza mostra sempre più chiaramente che non l'inquisito ma il suo Avvocato presentavasi allora in nome di lui, era interrogato se dovesse dire altro e potea forse presentare anche una Replica scritta; ma non apparisce che fossero ammesse le arringhe.

Come dicevamo, il 29 agosto i Giudici deliberarono che si procedesse alle difese; nello stesso giorno fecero tradurre alla loro presenza, l'uno dopo l'altro, il Petrolo, fra Pietro di Stilo, il Pizzoni, il Lauriana, il Bitonto, fra Paolo della Grotteria, e a ciascuno di essi separatamente parteciparono la loro deliberazione, assegnando per le difese il termine di otto giorni; poi si recarono alla carcere di fra Dionisio, che trovavasi ammalato a quel tempo, e parteciparono anche a lui la loro deliberazione e il termine stabilito di otto giorni. Sappiamo infatti che fra Dionisio fu ammalato una prima volta nell'agosto del 1600: ce lo mostra un conto di spese che vedremo più tardi fatte pe' frati inquisiti, e che contiene la nota delle medicine fornite a fra Dionisio dallo Speziale del Castello Ottavio Cesarano, con l'indicazione de' giorni in cui esse vennero fornite; e fu in questo frattempo che il Soldaniero vide fra Dionisio, gli prestò qualche assistenza e forse anche gli chiese perdono pe' travagli procuratigli coll'opera sua, come fra Dionisio asserì e il Soldaniero negò negli esami ripetitivi. Dobbiamo intanto notare che pel Campanella non fu tenuto lo stesso procedimento, senza dubbio a motivo della sua pazzia, ma ebbe in sèguito un Avvocato: per fra Pietro Ponzio poi non vi fu provvedimento alcuno, giacchè davvero in questa causa, come in quella della congiura, nulla gli si potè addebitare, all'infuori dell'intima amicizia col Campanella, provata specialmente con la scoperta delle conversazioni notturne tenute tra loro.

Il 5 settembre nel convento di S. Luigi il Vescovo di Termoli, presente anche l'Auditore del Nunzio Antonio Peri, ricevè il giuramento del dot.r Carlo Grimaldi Avvocato del Pizzoni; il 15 settembre ricevè ancora, egli solo, quello di Gio. Filippo Montella Avvocato del Petrolo, di fra Pietro di Stilo, del Lauriana, di fra Paolo e del Bitonto; il Montella nello stesso giorno prestò giuramento anche nelle mani del Vicario Arcivescovile, ma, non si saprebbe dire perchè, venne più tardi sostituito dal Rev.do dot.r Scipione Stinca, il quale prestò giuramento il 13 ottobre, e trovasi qualificato «avvocato deputato» per la difesa de' frati suddetti. Alla mancanza del Montella, seguita dalla deputazione dello Stinca, si deve forse riferire un memoriale de' frati al Vescovo di Termoli per dimandare un Avvocato, memoriale senza data, ed inserto nel processo un po' a caso, dopo le difese di fra Dionisio193. Nessuno Avvocato si trova nominato per fra Dionisio, comunque in una lettera, da lui scritta nell'inviare taluni articoli a' Giudici, si legga che non avea «potuto accapar dal suo Avocato la compilatione di tutti gli articoli… per la lunghezza del processo et occupationi d'infiniti altri negotii di detto suo Avocato». Il 17 settembre fu consegnata a fra Dionisio la copia de' reperti della sua causa secondo lo stile del S.to Officio, e il giorno seguente una copia analoga fu consegnata al Pizzoni; di poi (15 e 18 ottobre) fu consegnata allo Stinca la copia de' reperti della causa de' diversi frati che egli doveva difendere. Aggiungiamo che ancora più tardi (31 ottobre) fu prestato il giuramento dal dottore di leggi Gio. Battista dello Grugno in qualità di Avvocato difensore del Campanella, certamente «Avvocato deputato» anche lui, comunque di una simile qualificazione non si trovi alcun ricordo194. Dobbiamo dire che l'opera di questi Avvocati nel presente processo apparisce anche meno del solito. Vedremo mancanti del nome dell'Avvocato non solo gli articoli di fra Dionisio, che forse li compilò da sè, ma anche quelli del Pizzoni, ne' quali per altro la mano dell'Avvocato si rivela da qualche errore materiale circa le persone, errore che l'inquisito non avrebbe certamente commesso; pel Campanella poi vedremo una comparsa del procuratore rimasto anonimo, ma vedremo anche qualche altro atto in cui il nome dell'Avvocato non manca; infine per gli altri frati vedremo che non ci fu occasione di comparsa dell'Avvocato, perchè non si fece nulla. – Ci crediamo pertanto nel dovere di dare qualche notizia intorno a' suddetti Avvocati. Carlo Grimaldi era un dottore non ispregevole; pervenne all'ufficio di Giudice della Gran Corte della Vicaria nel 1622-23, come è attestato anche dal Toppi195. Il dot.r Scipione Stinca è stato da noi già incontrato una volta nel corso di questa narrazione, sotto le forche preparate pel povero Maurizio, che egli ebbe ad assistere nell'estremo momento. Apparteneva ad una famiglia illustre per magistrati, nella quale figurava tuttora il dot.r Ottavio Stinca, che abbiamo pure avuta occasione di nominare qual difensore del Duca di Vietri, ed avremo occasione di nominare ulteriormente a proposito di qualche altra singolare persona la quale verrà in iscena più tardi. Era Avvocato e sacerdote, come tanto spesso accadeva a quei tempi: nel processo è detto «Presbyter Neapolitanus» e possiamo aggiungere che era ascritto all'ordine de' Cappellani Regii, poichè abbiamo trovato il suo nome nell'elenco di que' Cappellani, ripetuto dal 1595 al 1603, nelle scritture della Cappellania maggiore esistenti nel Grande Archivio196. Quanto al dot.r Gio. Battista dello Grugno Avvocato del Campanella, egli era un uomo ancor più distinto. Nominato lettore delle Instituta e glose nel pubblico studio di Napoli, in sèguito dell'ingresso di Giulio Berlingieri nella Congregazione de' Gerolamini (31 8bre 1598), fu poi promosso alla lettura De Actionibus, vacata per morte di Gio. Maria Cossa, con provvisione raddoppiata in omaggio alla sua persona (ult.o di febbr. 1601); ed in tale qualità morì verso la fine del 1604, avendo a successore Ottavio Limatola, come ci risulta da' documenti sparsi nelle medesime Scritture della Cappellania maggiore197. Bisogna dunque riconoscere che le difese de' frati, e massime del Campanella, non si trovavano affidate a dottori di poco conto; solo si può dire che la ricerca di essi fu laboriosa, poichè durò circa due mesi, e forse, oltre il Montella, parecchi altri rifiutarono il carico di queste difese; d'altronde occorre anche vedere se vi attesero con diligenza, e su questo punto li giudicheremo all'opera.

Il 30 settembre si diè principio agli esami difensivi per fra Dionisio, co' quali si aprì il 3o volume del processo dell'eresia. Egli aveva scritto a' Giudici di non aver potuto ancora ottenere dall'Avvocato la compilazione di tutti gli articoli a sua difesa, e di averne intanto formato da sè un certo numero, pregando che sopra di questi venissero esaminati «alcuni carcerati, quali per essere stati habilitati facilmente partiranno per la Calabria»; ed è superfluo dire quanto sia per noi degna di nota siffatta circostanza, poichè ci rivela lo stato del processo della congiura pe' laici a quel tempo, e il destino di taluni tra loro, i cui nomi si leggono nella lista de' testimoni dati da fra Dionisio contemporaneamente a' suoi articoli. Appena sette furono gli articoli allora presentati da fra Dionisio, e con essi poneva e voleva provare la falsità delle deposizioni del Lauriana, e così pure del Soldaniero e di Valerio Bruno. Intorno al Lauriana, egli affermava, che costui avea già detto nelle carceri di Squillace e poi in quelle di Gerace, presenti molti, di essersi esaminato contro fra Dionisio ed altri, deponendo falsamente in materia di eresia e di ribellione persuaso dal Pizzoni, e di volersi ritrattare per scrupolo di coscienza; che poi nelle carceri di Napoli si era consigliato circa tale ritrattazione con un dot.r Domenico Monaco egualmente carcerato, il quale gli avea detto che ritrattandosi avrebbe avuta la corda e sarebbe stato mandato in galera; che quando in Napoli ratificò il primo esame, rimproverato da molti a' quali avea detto di essersi esaminato falsamente, avea risposto, «che sempre c'era tempo per accomodar la conscientia, ma non sempre c'era tempo d'evitar la corda, et la Galera, et che più facilmente si potea accomodar con Dio, che con gl'huomini, et officiali»; che dopo ciò, quando nelle litanie si giungeva al verso a falsis testibus libera nos Domine, tutti guardavano in faccia al Lauriana e ridevano, ed egli arrossiva, e quando toccava a lui dir le litanie, ometteva quel verso con grandissimo riso di tutti; che infine avea negli ultimi giorni cercato perdono ad esso fra Dionisio, facendosi più volte chiudere per questo nella stessa carcere con lui dal carceriere. Intorno al Soldaniero e Valerio Bruno affermava, che il Soldaniero, egualmente per ottenere il perdono delle falsità deposte contro di lui, gli avea fatto visite, servigi, regali e prestito di danaro; che inoltre teneva continuamente presso di sè Valerio Bruno suo servitore, e poteva presumersi avergli fatto deporre il falso, essendosi da entrambi dichiarato ne' rispettivi costituti che non aveano mai parlato tra loro, mentre a tutti era noto il contrario. Sopra siffatti articoli dava per testimoni, variamente sopra ciascuno di essi, oltre fra Pietro di Stilo e fra Paolo, Geronimo Marra, Francesco Salerno, Nardo Rampano, Cesare Bianco e tutti gli altri carcerati di Catanzaro, Giuseppe Grillo di Oppido, Domenico Monaco il dottore, Aquilio Marrapodi suo servitore e il carceriere. D'altra parte il fiscale (sempre D. Andrea Sebastiano) presentava i suoi interrogatorii al n.o di 18, preceduti dalle solite ammonizioni, e contenenti le informazioni di rutina e le informazioni su' fatti asserti negli articoli198. – I Giudici si limitarono ad esaminare Geronimo Marra, Francesco Paterno (o forse Salerno) e un Minico Mandarino, tutti giovani sarti di Catanzaro carcerati per la congiura; e li udirono su tutti gl'interrogatorii e tutti gli articoli indifferentemente, impiegandovi la sola seduta del 30 settembre. Le deposizioni di costoro non diedero alcun risultamento serio. Nessuno sapeva nulla; nessuno avea veduto nulla. Il solo Geronimo Marra dichiarò di avere udito in Napoli il Lauriana, dopo di essere stato esaminato, dire ad alcuni carcerati, «quando uscirò, Dio provederà all'anima», ma senza aver capito a quale scopo avesse dette tali parole199. Perfino intorno a Valerio Bruno rimase assodato che stava in una camera diversa da quella del Soldaniero, ma non si giunse a sapere nemmeno se facesse l'ufficio di servitore presso di lui (i guai sofferti aveano resi quei testimoni più che riservati).

Una lunga interruzione si verificò dopo questa seduta, la qual cosa reca un po' di meraviglia, mentre non si può negare che fino allora si era proceduto con la più grande celerità, e se molto tempo si era impiegato nello svolgimento del processo, ciò era accaduto unicamente per l'intrinseca qualità della procedura, che nelle cause di S.to Officio era sempre scrupolosamente osservata. Bisogna dire che i Giudici ebbero a persuadersi non poter convenire questi esami sopra articoli in numero ridotto, dopo i quali si era costretti a fare nuovi esami sopra articoli in numero completo. E in tal guisa riesce di spiegarsi che il Notaro e Mastrodatti Prezioso, d'ordine del Vescovo di Termoli, il 6 ottobre si recò presso fra Dionisio, gli chiese formalmente se volesse o no difendersi, ed innanzi a testimoni rogò un atto in cui fra Dionisio dichiarò che voleva ed effettivamente intendeva fare le sue difese, e si sottoscrisse confermando tale sua volontà200. Ma senza dubbio non potè presentare le sue eccezioni od articoli se non a' primi del mese consecutivo, poichè si venne agli esami sopra di essi soltanto il 6 novembre. Verosimilmente fu sollecitato anche il Pizzoni a voler presentare i suoi articoli, essendo scorso da un pezzo il termine assegnato di otto giorni, ciò che era sempre tollerato dal S.to Officio, ma non poteva poi durare indefinitamente; così, mentre si menavano innanzi gli esami difensivi per fra Dionisio, si fecero ancora quelli pel Pizzoni. E certamente l'Avvocato del Campanella, non appena prestato il suo giuramento il 31 ottobre, dovè essere sollecitato del pari; giacchè poco dopo fu presentata al tribunale una comparsa, con la quale si diceva essere il Campanella pazzo, non potersene fare le difese, chiedersi un termine per provare la pazzia; e nello stesso giorno 6 novembre, quando cominciarono gli esami difensivi per fra Dionisio, cominciarono pure gli esami informativi sulla pazzia del Campanella. Sicchè dal 6 al 16 del mese venne simultaneamente esaurito tutto ciò che rifletteva la difesa degl'inquisiti principali: ma per procedere ordinatamente, sarà bene narrare prima gli esami difensivi per fra Dionisio, che erano stati già in parte iniziati, poi gli esami difensivi pel Pizzoni, che rappresentano il contrapposto degli anzidetti, infine gli esami informativi sulla pazzia del Campanella.

Le eccezioni od articoli, che fra Dionisio definitivamente presentò in sua difesa, ascesero nientemeno al numero di 58; e noi pur troppo non possiamo dispensarci dal darne conto, tanto più che in sostanza vi si comprendono le difese di tutti gli altri frati all'infuori del Pizzoni e del Lauriana, non escluso il Campanella che per la pazzia rimaneva ecclissato201. Con le sue eccezioni fra Dionisio affermò i suoi titoli di onore, cominciando dalla tenera età e passando a' tempi della vita monastica, ricordando pure l'andata presso Clemente VIII come procuratore della città di Nicastro per la faccenda dell'interdetto, e la premura spiegata per «manifestar l'innocenza del sangue del P.e M.o Pietro Pontio suo zio ucciso proditoriamente da alcuni monaci», come potea rilevarsi dagli Atti esistenti nella Corte del Nunzio, onde si acquistò le inimicizie di tutti gl'inquisiti e loro parenti, e massime de' due Polistina. Affermò che costoro, d'accordo col Priore di Soriano eccitarono il Soldaniero contro di lui, e fecero circondare di birri il convento per costringere il Soldaniero ad accettare l'indulto offertogli da fra Cornelio altro suo nemico, e così poteva intendersi l'inverosimiglianza dell'avere esso fra Dionisio confidate a un tratto tante gravissime cose al Soldaniero. Che costui era di pessima vita e cattivo cristiano al punto di persistere tuttora nella scomunica inflittagli in Calabria, teneva per servitore Valerio Bruno nelle carceri di Napoli e dichiarava di non aver mai parlato, ed avea più volte cercato perdono ad esso fra Dionisio narrandogli i particolari del fatto di Soriano; che mentre era impossibile accordare la cacciata di esso fra Dionisio da Soriano e la predica contemporaneamente permessagli dal Priore, dovea notarsi aver lui deposto dopo il Pizzoni, quando da fra Cornelio gli fu detto che il Pizzoni l'aveva nominato come uno de' capi della congiura. Che esso fra Dionisio avea nella predica di Soriano, a santo e pio fine, parlato di qualche fatto esecrabile commesso contro il SS.mo Sacramento, per mostrare l'infinita pazienza di Dio; che lo stesso Valerio Bruno avea con più persone lodata la predica di lui in Soriano, dicendo che era riuscita a farlo piangere, la qual cosa non gli era mai accaduta; che se il Priore e il Lettore di Soriano avessero deposto di aver cacciato esso fra Dionisio dal convento, risulterebbero mendaci, poichè gli aveano permesso di predicare e non aveano partecipato nulla a' superiori. Che il Pizzoni gli era nemico, atteso il furto degli scritti per lo quale esso fra Dionisio l'aveva svergognato; che era sempre stato amico de' nemici di lui, ed avea fatto fuggire il Polistina, procurando che fra Pietro di Stilo l'avvertisse, quando esso fra Dionisio cercava di farlo carcerare; che era sempre stato di pessima vita, soggetto a penitenze per molti furti (citato uno per uno), affetto da mal francese etc., scappato in pianelle, senza cappello e senza cappa dal Capitolo di Catanzaro per fuggire la prigionia, obbligato a circondarsi di fuorusciti per salvarsi dalle vendette di coloro che aveva offeso con le sue disonestà. Che nella causa della congiura, negando dapprima l'esame di Calabria, il Pizzoni aveva espressamente affermato di aver detto anche in materia di eresia molti mendacii, amplificati ed accresciuti da fra Cornelio e dal Visitatore, e nella fossa in cui fu posto avea pure scritto sul muro di esservi stato posto perchè si volea che dicesse bugie, come tuttora potea vedersi, ma poi persuaso dal Lauriana confermò di nuovo il primo esame. Che aveva scritto al Campanella, entro il suo breviario, essere state da lui deposte le eresie per eccitare gelosie di giurisdizione tra il Papa e il Re, ma essere risoluto di ritrattarle, e due cartoline di questo genere furono prese dal Sances sul Campanella, quando costui fu tormentato. Che veramente il Pizzoni avea praticato col Campanella più lungamente di esso fra Dionisio, ed avrebbe potuto piuttosto il Pizzoni dire a lui, che lui al Pizzoni, le cose del Campanella; e poi a molti avea dichiarato essergli state da fra Dionisio dette le eresie non assertive ma recitative tantum; e poi nel vespro di quel giorno di luglio in cui parlarono tra loro in Pizzoni, esso fra Dionisio fu visto parlargli sdegnato e bravarlo, poichè gli dimandava conto del furto degli scritti (lato questo il più debole della difesa per essere stato troppo spinto). Che il Lauriana gli era nemico perchè creatura del Pizzoni, perseguitato fin dal P.e Pietro Ponzio pe' suoi vizii e disonestà, complice del furto degli scritti che cercò di vendere al P.e Perugino, scacciato da esso fra Dionisio dal convento di Nicastro per le turpi relazioni con fra Fabio nipote del Pizzoni; che avea scritto due lettere ad esso fra Dionisio chiedendogli perdono, come l'avea pure chiesto a voce a traverso un foro esistente tra le carceri rispettive, ed inoltre l'avea chiesto anche a Ferrante Ponzio per lettere delle quali esibiva una in data 10 ottobre 99. Che nelle carceri aveva tenuta corrispondenza col Pizzoni ed animatolo a star saldo sulle cose deposte, perchè si trovassero uniformi nelle falsità, come fu provato durante il processo, rimanendo anche convinto di averlo falsamente negato; che avea fatto sapere a molti essere stato costretto a deporre il falso da fra Cornelio e dal Visitatore; che sopratutto avea falsamente deposto essersi trovati in Pizzoni al tempo medesimo esso fra Dionisio e il Campanella, mentre esso fra Dionisio vi era stato molti giorni prima; che avea detto a molti volersi ritrattare, cercando anche perdono a fra Pietro Ponzio, e poi consigliato da un Domenico Monaco non l'avea fatto ed aveva indotto il Pizzoni a non farlo; che n'era stato rimproverato da molti, ed era ritenuto falso testimone e deriso nel dir le litanie; che avea chiesto anche negli ultimi giorni perdono ad esso fra Dionisio infermo (come negli altri articoli già dati precedentemente). Che il Visitatore gli era stato sempre nemico, perchè esso fra Dionisio avea dovuto presentare al Papa memoriali contro di lui nelle quistioni de' Riformati e poi nel tempo de' torbidi di S. Domenico di Napoli; che aveva in Calabria forzato i testimoni a deporre contro esso fra Dionisio, e l'aveva condannato a gravi penitenze negandosi sempre a perdonarlo. Che fra Cornelio gli era nemico per fatti personali occorsi tra loro (già narrati altrove); che si era perciò unito a' Polistina, insieme co' quali avea sedotto e forzato il Soldaniero a deporre come avea deposto, procurandogli l'indulto. Che il Petrolo gli era nemico, perchè riteneva derivati da esso fra Dionisio tutti i suoi travagli, e perciò, come si era espresso con molti, l'aveva conciato a dovere ne' suoi costituti202; oltracciò nell'altro tribunale si era dapprima disdetto, dichiarando che il Campanella l'aveva indotto ad imitare il Pizzoni nell'esporre eresie per sottrarsi alla furia secolare; che poi, al pari del Pizzoni, non era rimasto saldo in tali assertive, ed entrambi rimproverati per questo da molti carcerati aveano detto esservisi determinati pe' maltrattamenti del fisco e le visibili propensioni de' Giudici. Che fra Pietro di Stilo gli era egualmente nemico, perchè creatura del Polistina, che si diè premura di far fuggire quando esso fra Dionisio cercava di farlo carcerare; nè avea voluto andare al convento di Nicastro dove era stato assegnato quando esso fra Dionisio vi si trovava Priore. Che infine per tutto il tempo, in cui esso fra Dionisio era stato carcerato, ognuno avea dovuto persuadersi esser lui vittima di falsità fatte deporre dal Visitatore, da fra Cornelio e dallo Sciarava, ed essere cosa impossibile in lui la colpa specialmente di eresia.

189.Ved. Doc. 358, pag. 340.
190.Ved. nel Carteggio del Nunzio, Doc. 105, pag. 68.
191.Ricordiamo che questa odiosità o inimicizia capitale avea sempre una importanza particolare nelle cause di S.to Officio; ved. la nota a pag. 260 del 1o volume di questa narrazione.
192.Quando negli esami difensivi si vede interrogato un testimone sopra una serie di articoli, e poi sopra altri, saltatine alcuni con la formola «omissis aliis de voluntate producentis», s'intende che questa omissione non è fatta per volontà di persona presente, ma per volontà espressa dall'inquisito, d'accordo col suo Avvocato, nel dare la lista de' testimoni, avendo indicato che quel testimone doveva essere udito sopra determinati articoli. L'Avvocato dunque non era presente agl'interrogatorii. Circa le Difese scritte, anche tra' MS. della Biblioteca Nazionale di Napoli c'è una così detta «Collezione di processi per carcerati nel S.to Officio della Curia Napolitana» (XI, B, 34), che veramente è una Collezione di Difese per carcerati nel S.to Officio e in piccola parte anche per cause civili e criminali del foro ecclesiastico. Naturalmente in ogni Difesa, spesso intitolata «Tutamen pro…» etc., la «enucleatio facti» dà una certa contezza sommaria del processo. Le Difese per cause di S.to Officio, riunite in quella Collezione, vanno dal 1673 al 1680 ed appartengono quasi tutte a un D. Clemente Ferrelli avvocato de' poveri: i testimoni vi si veggono indicati con lettere A, B, C, talora anche l'inquisito, specialmente se è sacerdote, è indicato con N. N. Possediamo poi una Difesa anche stampata per causa di S.to Officio, ed è la sola che abbiamo incontrata fra tanti opuscoletti da noi veduti.
193.Ved. la Copia ms. tom. 1o, fol. 267. Il Memoriale, scritto dal Lauriana e degno di lui, vedesi firmato appunto da' frati affidati alle difese del Montella e poi dello Stinca, ed attesta la bontà del Vescovo di Termoli per que' frati. Fu inserto nel processo a lato di una comparsa di fra Pietro di Stilo del 17 novembre, con la quale fra Pietro rinunziava alle difese. Ma essendovi nel memoriale, con cui si dimandava un Avvocato, la firma anche di fra Pietro di Stilo, è chiaro che la data di tale scrittura deve riferirsi a un periodo anteriore, e verosimilmente a' primi di ottobre.
194.Ved. Doc. 357, pag. 339.
195.Ved. Toppi, De origine omnium tribunalium etc. Neap. 1655-66, vol. 3o p. 29.
196.Questo elenco annuale de' Cappellani Regii fu redatto in quel tempo per la franchigia del pagamento del «grano a rotolo» ed inviato a' Deputati della pecunia dal Cappellano maggiore. Vi si legge: «Rev. dot.r Scipione stinca con doi servitori». Notiamo che dall'anno 1604 in poi non fu inviato un elenco nominativo, e però non si trova più registrato il nome dello Stinca.
197.Ved. i Certificati de' lettori, che il Cappellano maggiore inviava allo Scrivano di razione pe' pagamenti. La provvisione raddoppiata, concessa al Dello Grugno, raggiungeva appena D.i 80 annui; così poco costava a que' tempi un buon lettore.
198.Ved. Doc. 359 e 360, pag. 341 e 342.
199.Ved. Doc. 362, pag. 359.
200.Ved. Doc. 356, pag. 339.
201.Ved. Doc. 361, pag. 344.
202.Questo è il significato della espressione che si legge nell'art. 53, che cioè «non l'aveva mandato a Roma per penitenza», modo volgare ancor oggi abbastanza usato nel mezzogiorno d'Italia.
Возрастное ограничение:
12+
Дата выхода на Литрес:
28 сентября 2017
Объем:
850 стр. 1 иллюстрация
Правообладатель:
Public Domain

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