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Alessandro Ziliotto
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CAPITOLO TRE – Prime prove –

Dovevo cercare i soldi per iscrivermi in palestra e un furtarello non sarebbe guastato. Mi misi in sesto e scesi di casa. Un centro commerciale sarebbe stato perfetto, ovviamente senza telecamere all’esterno. Ci impiegai poco più di mezz’ora ad arrivare. Ero comodamente seduto sull’autobus quando ecco salire il controllore. Ero tranquillo, mi alzai cercando di raggiungere l’apertura opposta alla quale lui era salito, ma proprio mentre stavo per scendere, poco prima che le porte si chiudessero, eccoti mettersi di fronte a me un altro controllore, cercando di sbarrami la strada per non farmi scendere.

“Favorisca il titolo di viaggio per cortesia, e poi può scendere.”

Il biglietto non ce l’avevo e certo se cominciavo già così il primo giorno della mia vita criminale apposto ero. Mi sarei ritrovato in galera la sera stessa. Un lampo di genio però illuminò la mia mente, estrassi dalla tasca dei pantaloni il mio sottile taccuino, e aprendolo a ventaglio esibii il mio titolo di viaggio.

“Prego.” Fu la risposta dell’incaricato del pubblico servizio lasciandomi sfilare alla sua destra. E lì capii che il tesserino della polizia, sebbene illecitamente detenuto e leggermente contraffatto, m’avrebbe potuto salvare da molte situazione complicate. Certo avrebbe avuto anche i suoi lati negativi, sempre che qualcuno avesse scoperto la sua natura, ma questo sarebbe stato un problema che avrei affrontato una volta che si fosse presentato. Avrei aggiunto guai ad altre beghe che già avevo; e poi persino io avrei creduto nella sua autenticità, considerato che aveva tutte le sue cose in ordine, fatta eccezione di alcuni piccoli particolari.

Eccomi arrivato nel parcheggio del centro commerciale, ora dovevo solo attendere la vittima prescelta. Doveva essere esclusivamente una e se la cosa fosse andata male, mi sarei dovuto dileguare, spostando la mia attenzione in un’altra zona.

Mi dovevo ingegnare in qualche modo, e utilizzare uno stratagemma con un margine d’errore molto ridotto. Innanzitutto non dovevo far notare la mia presenza nel parcheggio, rimanendo nell’indifferenza più totale. Mi misi seduto su di una panchina, e approfittando della bella giornata ostentavo il mio interesse per i raggi solari, guardando di sottocchio le macchine che arrivavano e i loro conducenti, aumentando ancor di più la mia attenzione quando mi passavano accanto se li ritenevo interessanti.

Passarono qualche decina di minuti senza che mi decidessi a mettere in atto il mio pseudo piano. Non riuscivo a calcolare il momento propizio, ma quando mi sembrava che stesse per arrivare ecco sorgere qualcuno che lo avrebbe potuto rovinare, tipo personale della vigilanza che usciva a farsi un giro e fumarsi la sigaretta, oppure qualche ragazzo dall’aria sveglia e atletica. Insomma, cercavo il momento ideale, anche perché se avessi affrettato la cosa, sicuramente sarebbe stato peggio per me e non sarei riuscito ad ottenere il risultato sperato.

Forse dovevo desistere e cercare un’altra soluzione ma più mi scervellavo e maggiormente non riuscivo a trovare alternative. Mi alzai in piedi giusto per stemperare un po’ la tensione e cercare qualche mozzicone di sigaretta da finire, non fumavo gran che, ma quand’ero nervoso mi serviva a stendere i nervi. Praticamente trovai una sigaretta completamente intera, gettata a terra esclusivamente perché era leggermente spezzata. Con cura la raccolsi e con altrettanta attenzione la ricomposi. Mentre terminavo l’operazione e la incastonavo tra le labbra assaporandone il sapore, capii che il momento era arrivato. Nel parcheggio aveva appena fatto il suo ingresso un grosso SUV e dallo stesso ne era scesa una scintillante creatura, non tanto per la bellezza, ma per ciò che indossava. Nulla togliere a quella splendida donna, ma di certo non era il momento per accondiscendere alle debolezze della carne. Già dal personaggio avevo compreso che non si sarebbe intrattenuta molto tempo all’interno del centro commerciale, considerato che la spesa per la famiglia di certo non la faceva lei, al massimo sarebbe entrata per provare qualche capo d’abbigliamento o salutare qualche amica, altre spiegazioni non ne trovavo. Mi passò accanto con estrema disinvoltura, consapevole che la stavo guardando, e come potevo evitarlo, malgrado le rughe accentuate sul collo, conservava un viso ed un corpo tonico, e il sentirsi osservata era il risultato cercato nelle sedute dal chirurgo plastico e come potevo non privargliene. Le gambe snelle s’innalzavano su un paio di scarpe nere con il tacco alto sei sette centimetri, sino a delimitarsi all’interno di una gonna attillata anch’essa scura. Indossava una camicetta bianca lasciata aperta dei primi bottoni, dalla quale emergevano prepotentemente le morbide colline che custodiva all’interno. Era inebriata da un aroma invitante e allo stesso tempo delicato, che i miei sensi istintivamente seguirono cercando di non perderlo. Era come se fosse passato un camion di rose trasportate con il telo scoperte e al suo passaggio seminasse petali rosei lungo la via. Scorsi il suo sorriso di soddisfazione sul riflesso della porta a vetri scorrevole del centro commerciale, dove venne inghiottita dopo pochi secondi.

Ora dovevo solamente attendere il suo ritorno all’auto. Dovevo essere preciso e veloce. L’attesi nella parte laterale del mezzo, lei non mi doveva vedere. Mi accovacciai quasi a terra lato passeggero e approfittando dell’altezza del mezzo controllai quand’era salita. Appena avviata la macchina, percorse solamente pochi centimetri dopo aver innescato la retromarcia; manovra che interruppe subito. Appena era entrata in macchina, per far uscire il caldo accumulato durante la sua assenza, aveva fatto scendere i finestrini dell’auto, dai quali si poteva udire una musica giovanile e allegra, dovuta probabilmente da qualche file dei figli lasciato nell’auto o semplicemente da una stazione radio decente.

“Porca miseria, ma cos’ha quest’auto che non va, e sta spia?!”

Le sue parole uscivano deboli accompagnate dalla melodia che le faceva da sottofondo nell’abitacolo.

“Pronto Amore, mi sa che ho un problema con la macchina.”

Pausa.

“Si sono con la mia, mi si è accesa una spia di colore giallo, ma ha una forma strana, non te la so spiegare, è tipo…”

Pausa.

“Si dai sembrano due parentesi collegate con una riga zigrinata sotto, e ha un punto esclamativo all’interno, se non sbaglio, ti viene in mente qualche cosa?”

Pausa.

“Cosa? La pressione delle gomme?”

E proprio mentre proferiva quelle parole, d’istinto aprì la porta e scese dal veicolo andando a controllare le gomme.

“Amore, ma qui le gomme sono apposto…no no, aspetta, forse quella d’avanti è bassa, mi sa che hai ragione.”

Pausa.

“Dai ti aspetto, sono qui al centro commerciale a Casalecchio, sono al piano terra, vicino all’entrata, dai dove parcheggio io di solito, ma come…”

Queste furono le ultime parole che riuscii a udire della signora, la quale era talmente presa dal problema dell’auto che non si era accorta che mi ero appropriato del suo portafoglio che fuoriusciva dalla borsa lasciata aperta sopra al seggiolino lato passeggero. Il piano aveva funzionato alla perfezione. Con il pneumatico anteriore bucato, dopo aver preso istruzioni da qualcuno al telefono, la signora era scesa a verificare il problema ed io in quel frangente, ero riuscito ad affacciarmi dal finestrino anteriore e dopo aver verificato la posizione della borsa, mi ero appropriato di ciò che mi interessava.

E ora che dovevo fare? Avevo tra le mani ciò che m’interessava, ma non sapevo come comportarmi. Le scelte erano due: verificare subito il contenuto e sbarazzarmi delle prove, oppure trovare un luogo appartato ed esaminarlo con calma? Optai per la seconda, salii sul primo autobus che passava e mi feci portare in centro. Mi misi a camminare, sempre comunque con il cuore in gola, con la paura di essere fermato e scoperto. Dovevo sbrigarmi a fare ciò che dovevo fare. Dopo essere sceso, imboccai la prima stradina poco trafficata, e aspettando il momento propizio, mi misi a setacciare il contenuto del portafoglio. La giornata direi che l’avevo ampiamente guadagnata. I miei bei 370 euro li avevo racimolati. Intascato il malloppo, non feci altro che lasciar scivolare il portafoglio a terra dietro un muretto, e mi rimisi su via Indipendenza confondendomi con le centinaia di persone che vivevano la loro vita. Non riuscivo a spiegarmelo ma mi sentivo diverso. Forse oggi avevo cominciato a vivere o forse ero tornato bambino, al tempo in cui m’intrufolavo all’interno dei supermercati e dei tabaccai uscendone con delle caramelle. Oggi come allora avevo il cuore che pulsava come una locomotiva lanciata a tutta velocità e i dogmi impostimi dai miei genitori si scioglievano come ghiaccio al sole. Tutte quelle regole e limiti fissati dal lavoro e da una vita regolare e onesta non facevano per me. Erano sempre stati un freno che non riuscivo a togliere, un passo che non riuscivo a compiere, ma ora ero libero. Non avevo un lavoro e uno stipendio fisso, ma certo non sottostavo al volere di nessuno e questo per me era gratificante. La mia vera vita cominciava ora, quella di prima era solamente un sogno dal quale potevo conservare ricordi preziosi per vivere al meglio questa nuova esistenza. Ora come non mai esistevo io, solo ed esclusivamente io e non avrei dovuto rendere conto a nessuno se non a me stesso. Ero galvanizzato. Avevo l’impulso di sferrare un pugno in faccia a chiunque mi guardasse male, ma forse era meglio non esagerare.

Il primo passo sarebbe stato quello di iscrivermi in palestra, ma questo l’avrei fatto l’indomani. Ora era tempo di festeggiare il colpo andato a segno. Ritornai a casa dal mio samaritano, al quale regalai dieci euro, mentendogli sulla loro provenienza. Non volle accettare i miei denari, bensì mi disse che la sera avrebbe invitato a casa degli amici a cena, sempre che a me avesse fatto piacere.

Scesi al negozio di pakistani che stava sotto al palazzo e presi qualche bottiglia di vino, e una di vodka, sapevo che non sarebbero andate sciupate.

CAPITOLO QUATTRO – Una poesia spontanea –

Eravamo tutti intorno al tavolo. La cena era stata preparata minuziosamente da Fatima, una vicina di Khan, la quale sedeva accanto a lui in atteggiamenti tutt’altro che indifferenti. Nove persone animavano il banchetto e si rifocillavano sontuosamente. Guardavo quelle nuove persone con estremo interesse. Mi trattavano come fossi sempre stato loro amico, come se ci conoscessimo da anni e questo mi faceva stare bene. Per la prima volta nella mia vita mi sentivo a casa, le persone che sedevano accanto a me facevano di tutto per farmi sentire partecipe della loro compagnia e dei loro discorsi. A esser sincero, l’unico interesse che stavo maturando però era per un’amica di Fatima. Il nome con il quale i suoi genitori l’avevano benedetta era Sophia, nome a me sconosciuto ma dal suono incantevole. Come lo erano i suoi occhi neri, egual colore dei capelli, e la carnagione caffelatte. Quello che mi colpì di lei fu non tanto l’aspetto fisico, ma il suo sguardo. Era per me come la mela per Newton e il pericolo sarebbe stato quello di toccare terra. Per tutta la cena, ci scambiammo sorrisi e sguardi complici, sebbene non riuscissi a capire che rapporto avesse con Abdlak, il quale l’aveva stuzzicata diverse molte. In queste occasioni lei lo aveva snobbato, volgendo l’attenzione su di me, e puntualmente lui si agitava, diventando scontroso e irascibile con gli altri ospiti. Non era il mio genere di ragazza, ma la sua carnagione dorata mi faceva risvegliare passioni lontane, il suo sguardo scuro e inteso sembrava assorbire ogni mia emozione senza che questo la tormentasse, anzi, la sentivo leggere dentro la mia anima con estrema facilità. I suoi lunghi capelli neri, dal profumato candore, portavano dentro di me una serenità sconosciuta ma ricercata nel tempo, forse segno di poche notti passate a riposare. Avevo voglia di lei e del significato che rappresentava. Avrei voluto prenderla per mano e portarla fuori, lontano da tutto e da tutti e rimanere seduti a parlare per ore, per poi abbracciarsi così, l’uno stretto all’altra, senza aver più nulla a cui chiedere al mondo, perché mi bastava ciò che avevo tra le braccia e tutto il resto sarebbe stato inutile e superficiale.

Quella sera non andò proprio così, però sapevo che l’avrei rivista, e questo mi aveva fatto trascorrere un sonno non troppo sereno.

Assuefatto dai fumi dell’alcool, e un po’ delirante, tiravo le somme della giornata appena passata. Non era stata una giornata normale, era il primo giorno che vivevo con i profitti della vita illegale. Imparavo a capire che i soldi non avevano né nome né padrone. Erano esclusivamente di chi lì possedeva. Ero riuscito a spendere quei soldi con estrema facilità e disinvoltura e cosa ancora più importante senza senso di colpa, e a dirla tutta, erano i soldi meno sudati in vita mia, o forse nei quali avevo utilizzato più testa per guadagnarmeli. Se ripensavo, che per la stessa cifra, quando avevo sedici anni, avevo lavorato un mese intero in fabbrica ad avvitare piccole viti sull’intelaiatura di centinaia di lampadari, mi rodeva il fegato, considerato che in sole due ore, avevo racimolati gli stessi soldi. Certo mi era andata bene, però non potevo non tenere in considerazione questi piccoli particolari. Coccolato nelle coperte, dalla prima volta che mi ero congedato, ero tornato a fare una vita normale, avevo delle persone che non disprezzavano dormire sotto lo stesso mio tetto, e non mi guardavano come un criminale, ma come una normale persona che nella vita poteva commettere degli errori. Non si lamentavano della mia presenza e del mio alito un po’ alcolico, anzi erano loro a sentirsi a disagio con me, solo per il fatto che io ero Italiano e un tempo anche sbirro. Sentivo che la stima che avevano quelle persone nei miei confronti era più alta della mia, e questo mi faceva stare bene. Il resto non m’importava, ero vivo e dovevo vivere. Quello che il destino mi riservava, lo avrei scoperto passo dopo passo da solo, come avevo sempre fatto.

La sveglia come ormai mi capitava da diverso tempo, non sapevo neppure da quali lettere fosse composta e che suono avesse. Mi capitava di svegliarmi e di ritornare a dormire per un altro paio d’ore, e nessuno aveva nulla da obbiettare su quello. Dopo la sera appena trascorsa, successivamente che gli ospiti se n’erano andati, mi ero trattenuto con Sophia a svuotare i residui di bottiglia rimasti. Ci facemmo compagnia per un po’ di tempo. Le parole presero colori e direzioni che nessuno dei due il giorno seguente si sarebbe ricordato. L’unica cosa che ricordavo, erano le due pietre di ossidiana che luccicavano quando mi guardava, ne ero assuefatto a tal punto che per sentirla accanto a me quando se n’era andata, avevo cominciato a scrivere una poesia, come se tutto ciò, fosse la cosa più semplice del mondo, e quel gesto avesse la forza e la magia di trattenerla accanto a me un altro istante.

Il tuo sguardo è come quello d’una pantera

Cosa m’hai fatto questa sera?

Sei affascinante e pericolosa

Sconosciuta e misteriosa

Sei comparsa come d’incanto

Ed io ho sentito il tuo pianto

Non mi son accorto quando sei arrivata

E tanto meno quanto te ne sei andata

Lo stomaco gridava di dolore

Non avevo mai sentito questo ardore

Il sangue ballava nelle vene

Ti prego sciogli le tue catene.

Quando mi svegliai la mattina avevo la testa che rimbombava; era come se ospitasse un batterista principiante ed isterico, il cui ultimo pensiero era cessare di far quel fracasso. Ipotizzavo che probabilmente anche per questo motivo non riuscivo a starmene sdraiato a letto. Mi giravo e rigiravo tra le lenzuola, senza trovare una posizione o soluzione, alche non mi era restato altro che donare la mia presenza al mondo civile.

I piedi toccarono terra a fatica, e non appena mi ero sollevato, mi chiesi che diavolo stavo facendo e dove diamine stavo andando. Strascinai praticamente il corpo in cucina, ma prima che potessi effettuare qualsiasi altra cosa, accesi la televisione per avere un po’ di compagnia. La mia intenzione era ascoltare un po’ di musica per riuscire a svegliarmi lentamente. Pigiai il pulsante del telecomando, e quasi immediatamente ecco accendersi d’incanto, un po’ di sana e orecchiabile musica pop. Con gli occhi da cinese mi destreggiai per la cucina, cercando di non sbattere da qualche parte, e non cominciare così la mattinata con un’imprecazione, anche se ormai era mezzogiorno passato, sempre che le lancette scrutate dai miei occhi e recepite dal mio cervello, fossero corrette. A dire il vero non mi accorgevo quando la musica cessava per lasciare spazio ai conduttori del programma, anche se distrattamente captavo una notizia decisamente importante e inaspettata. La morte di Lucio Dalla. Lì per lì non ci avevo fatto molto caso, forse perché i miei neuroni non riuscivano ancora a interagire tra loro, ma poi con il passare dei minuti e con l’avvicendarsi degli speaker, e dei cronisti e di alcuni personaggi famosi con le loro parole di sconforto, mi rendevo conto che un artista della musica italiana era morto. La cosa non mi riguardava gran che, anche perché non lo conoscevo di persona, sebbene mi era capitato di incrociarlo per le vie di Bologna, seduto a bere qualche cosa in piazza dei Celestini, dove ero solito passare a piedi per raggiungere via d’Azeglio. Lo coglievo lì, tranquillo a chiacchierare come qualsiasi altra persona al mondo. E ora non c’era più. Quando un’artista lasciava questo mondo così inaspettatamente, mi capitava di pensare cos’altro avrebbe potuto dare a tutti noi. Quello che una persona era riuscita a dare sino al giorno del suo addio era indubbiamente importante, ma cos’altro sarebbe riuscita a regalarci? Era una cosa che mi aveva sempre solleticato la mente. Cercare di pronosticare il potenziale di una persona che oramai non c’era più, era alquanto difficile e impossibile da effettuare, però era altrettanto affascinante e misterioso. La speranza era che l’anima di quella persona, come quella di qualsiasi altra persona al mondo che lasciava questa vita terrena, fatta eccezione per persone crudeli ed egoiste, rimanesse immortale, passando in una vita che si stava accendendo proprio in quel momento. Comprendevo che questo fosse un pensiero strano e aggrovigliato, ma se fosse vero, ci permetterebbe di sapere che tutte le persone a cui noi teniamo, e che persino noi stessi, noi come essere umani, avremmo un futuro e non saremmo solamente esseri finiti e limitati; in tutta sincerità però, questa cosa mi faceva molta paura. Come potevo sperare di poter tramandare la mia anima in un’altra persona se non ricordavo il percorso delle vite passate? Anche se questo ragionamento era relativo, considerato che in alcuni momenti della vita mi era capitato di rincontrare l’anima di un altro, di ritrovare o rivivere esperienze già vissute, però mai provate. Forse era stato per una situazione psicologica instabile, o per l’eccesso di alcool o forse perché il passato che avevo consumato in un'altra vita non riusciva a rimanere placato. Sta di fatto che avevo vissuto e provato molte situazioni e sensazioni delle quali però non avevo mai avuto la forza e la capacità di spiegarmele. Credo che il senso di tutto questo si concentri a maggior ragione nell’istinto, nella reazione immediata a un determinato evento, al desiderio forte e incontrollabile d’effettuare qualche cosa, qualunque essa sia, ma che per noi era la più normale e straordinaria al mondo.

“Come posso dire che mi piace tirare con l’arco se non l’ho mai provato e quando accade il gesto mi risulta facile e corretto? Come posso altrettanto affermare di saper interloquire o esprimermi ad un vasto pubblico quando non l’ho mai fatto, però quando mi ritrovo di fronte a centinaia di persone mi sento a mio agio e pieno di me? Come posso sentirmi unico e speciale e tutte le persone che mi circondano me ne danno conferma? Come posso desiderare di conoscere una cultura e una civiltà completamente diversa dalla mia a partire dalla storia, seguendo con la lingua, alle usanze e ai caratteri somatici, a tutto ciò che caratterizza una popolazione da un’altra, e poi studiandola trovarla straordinariamente affascinante e famigliare. A volte non ci sono spiegazioni a determinate cose, esistono, si provano e si portano avanti con la consapevolezza che non si possa dare a tutto una spiegazione, a volte bisogna vivere e farsi trasportare dal nostro cuore e dalla nostra anima, perché questi ultimi conoscono cose e mondi che noi non riusciremo mai a comprendere.”

Le notizie alla tv susseguivano come le canzoni, ma erano solo da contorno ai miei pensieri. Avevo appena terminato di mangiare e ora mi preparavo a uscire, oggi sarebbe stato il mio primo giorno di palestra e speravo che un po’ di fortuna m’avrebbe aiutato, sebbene non riponevo in essa il mio futuro.

113,95 ₽
Возрастное ограничение:
0+
Дата выхода на Литрес:
09 апреля 2019
Объем:
360 стр. 1 иллюстрация
ISBN:
9788873042600
Правообладатель:
Tektime S.r.l.s.
Формат скачивания:
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