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Promette di onorarti
Copyright © 2021, Ines Johnson. Tutti i diritti riservati.
Questo romanzo è un’opera di fantasia. Tutti i personaggi, i luoghi e gli eventi descritti in questa pubblicazione sono usati in modo fittizio o sono interamente fittizi. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o trasmessa, in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, se non da un rivenditore autorizzato o con il permesso scritto dell’autore.
Stampato negli Stati Uniti d’America
Prima Edizione Gennaio 2021
Indice
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Epilogo
Capitolo Uno
Scout Silver percorse l’ufficio dell’avvocato in lungo e in largo. L’ufficio non era sulla strada principale della cittadina del Montana nella quale aveva vissuto tutta la sua vita. La città era considerata piccola solo per la sua popolazione. La metratura di Honor Valley avrebbe potuto contenere l’isola di Manhattan un paio di volte. Ma le persone che ci abitavano avrebbero potuto tutte starci nello stadio di calcio del liceo, anche abbastanza comode. Anche se probabilmente si sarebbero strette maggiormente abbracciandosi e socializzando.
Quindi no, non era necessario che guidasse per i trenta minuti che le servivano per arrivare nel cuore della città per sbrigare i suoi affari. Le era bastato sellare un cavallo e cavalcare dal suo vicino al Flying Cross Ranch.
Scout non si era nemmeno presa la briga di bussare alla porta d’ingresso della fattoria dei Matthew. Quella massiccia porta era sempre aperta. Era entrata e si era introdotta nel salotto formale riconvertito, che serviva come ufficio di Haran Matthews, per aspettare.
Invece di aspettare su una delle sei sedie messe nella stanza, camminava avanti e indietro.
L’ambiente familiare avrebbe dovuto alleggerire il suo spirito. C’era l’antica scrivania di quercia sotto la quale nessuno riusciva a trovarla quando giocava a nascondino. Il tappeto afgano ben tessuto di rossi e blu sbiaditi sui cui disegni si concentrava quando veniva rimproverata per qualche imprudenza infantile che non era mai stata una sua idea, ma si era comunque presa la colpa per proteggere le sorelle più giovani e colpevoli.
Erano i quadri alle pareti ad averla sempre affascinata molto. Li guardò in quel momento. La maggior parte delle immagini mostrava uomini neri alti e in uniforme con riproduzioni in bianco e nero e stampe color seppia. La stampa in bianco e nero era un’istantanea del nono reggimento di cavalleria noto come Buffalo Soldiers; gli all-Black Soldiers che avevano combattuto nella guerra civile americana. La fotografia color seppia era un’immagine del Tuskegee Airman; un’altra forza all-Black del secolo precedente. La terza foto era a colori. Mostrava un uomo di colore magro con il braccio attorno a un uomo bianco dal torace muscoloso. Entrambi gli uomini sfoggiavano il moderno stile di mimetizzazione delle tute militari, baffi a manubrio e larghi ghigni di chi sta tramando qualcosa.
Scout allungò la mano verso la foto. Con un tremore all’indice, seguì la linea del sorriso dell’uomo bianco. Cercò con tutte le sue forze di non sbattere le palpebre perché ogni volta che lo faceva, l’immagine di suo padre sbiadiva nella sua mente.
La porta dell’ufficio si aprì. Scout allontanò la mano dalla fotografia sulla parete. Il suo sguardo si fece sapientemente vuoto. I suoi occhi si fissarono sul tappeto afgano come se si aspettasse una punizione per l’imprudenza.
Non entrò né uomo bianco con i baffi a manubrio, né un uomo nero baffuto. La porta si aprì per rivelare una testa di capelli castano scuro molto simile ai suoi. Ma i capelli di Saylor erano tirati indietro stretti in una coda di cavallo piuttosto che sciolti e lungo le spalle come quelli di Scout.
“Siamo le prime due ad arrivare?” chiese Saylor.
“Come sempre.” Scout aprì le braccia alla sorella minore. Le due sorelle maggiori Silver si abbracciarono nella stanza vuota, tenendosi l’una all’altra come se fosse tutto ciò che avevano perché in quel momento era vero.
“Ancora non capisco perché siamo qui?” disse Saylor. “Il funerale del generale è stato tre mesi fa.”
Scout alzò le spalle impotente. “Non sapevo nemmeno che avesse lasciato un testamento. L’unica cosa che possedeva era il ranch, che aveva ceduto alla mamma dopo il loro primo divorzio.”
“No, quella era in realtà la seconda volta che divorziavano,” la corresse Saylor.
Saylor si grattò il naso. Quando lo fece, Scout notò le borse sotto gli occhi di sua sorella. O Saylor non dormiva bene, o la notte precedente aveva pianto. Scout non sarebbe stata sorpresa se entrambe le ipotesi fossero state vere. Anche se dubitava che le lacrime avessero qualcosa a che fare con la morte del padre di tre mesi prima.
Le figlie del generale Abraham Silver erano state preparate per quel giorno sin dalla loro nascita. Il loro padre, che si era arruolato subito dopo il liceo, era stato uno dei primi Navy SEALS. Quando nacque Scout, era a capo di operazioni segrete d’élite da un decennio. La sua vita era in pericolo la maggior parte delle volte.
“Padre Matthews non ti ha detto niente?” chiese Saylor.
Scout scosse la testa, il suo sguardo tornò alla foto sul muro. Guardò il sorriso sornione dell’uomo con il braccio intorno a suo padre. Proprio come i fratelli biblici nella Bibbia, Haran Matthews e Abraham Silver erano stati come veri fratelli. Tanto che le figlie di Abe avevano sempre chiamato il loro migliore amico e vicino di casa ‘Padre’. Era una felice coincidenza che il veterano e avvocato fosse anche un uomo di chiesa.
“Se c’è un testamento,” disse Saylor, “pensi che Crudelia lo contesterà?”
Scout rabbrividì alla menzione della seconda moglie del padre. Quel divorzio era stato un campo di battaglia con molte vittime, in particolare i figli. La matrigna Catherine aveva cercato di prendersi il ranch nell’accordo ed era stato il motivo principale per cui il padre aveva ceduto il Silver Star Ranch alla madre la seconda volta che si erano risposati.
“Non lo so,” disse Scout. “Ho una brutta sensazione a riguardo.”
“Crudelia non si è nemmeno presentata al funerale. Ma so che Mareen è qui.”
Come se avesse sentito chiamare il suo nome, il risultato di quel secondo matrimonio entrò dalla porta. L’eleganza di Mareen la precedeva mentre oltrepassava la porta.
Come sempre, teneva la testa alta. Il trucco che ricopriva la sua pelle di porcellana era fatto perfettamente per accentuare gli occhi azzurro cristallino che avevano in comune. Invece di stivali da cowboy come quelli che indossava Scout, o di mocassini come quelli di Saylor, Mareen indossava tacchi a spillo da quindici centimetri, che erano assolutamente poco pratici in un ranch. Ci era stata per un breve periodo, ma poi aveva scelto da che parte stare. E quella parte era stata lontana dal ranch con la madre nell’alta società.
“Signore,” disse Mareen.
Signore. Non sorelle. Non famiglia.
Anche se Saylor e Mareen avrebbero potuto essere gemelle per quanto si assomigliavano. Invece di una coda di cavallo, i capelli di Mareen erano acconciati in uno chignon perfetto. Scout sapeva che la donna come le sue sorelle non aveva dieci decimi, ma Mareen portava le lenti a contatto.
‘Nate come i conigli‘ era un’espressione che Scout aveva sentito sussurrare nelle orecchie dei pettegoli della città. ‘Gemelle da madri diverse’ era quello che aveva sentito mormorare alle spalle di Saylor nei corridoi della scuola. Sia Saylor che Mareen erano tecnicamente le secondogenite delle sorelle Silver. Entrambe le donne avevano venticinque anni. Nate lo stesso anno. Ma da madri diverse.
Scout e Saylor si scambiarono uno sguardo. Scout fece cenno con la testa a Saylor di dire qualcosa. Saylor inarcò le sopracciglia e scosse la testa. Scout alzò gli occhi al cielo.
Mareen si voltò a guardarle. Giusto in tempo perché Scout e Saylor si raddrizzassero e sorridessero dolcemente. Gli occhi azzurri di Mareen erano sospettosi, ma come sempre, lei non disse nulla, riservando alle sue sorelle maggiori solo il suo silenzio.
Le tre sorelle maggiori Silver furono salvate da un clamore proveniente dalla porta. Si trattava delle tre sorelle Silver più giovani. Tilly e Gunny entrarono per prime dalla porta con i loro volti identici. I loro capelli biondi erano un segno distintivo della loro madre, la terza moglie del padre.
Beh, tecnicamente Roxanne era stata il quarto matrimonio del padre. Dopo che il generale aveva lasciato la madre di Mareen, era tornato a casa. Per un tempo breve. Ma il secondo matrimonio dei suoi genitori era durato un batter d’occhio.
L’ordine degli eventi era troppo confuso visto che Scout allora era impegnata a imparare l’algebra, così aveva smesso di cercare di risolvere quell’equazione e tutte le sue variabili. Era semplicemente entusiasta di avere due nuovi prodotti della complessa matematica, ovvero Gunnery e Artillery.
Sì, i nomi erano terribili. Tutti i loro nomi erano terribili. Questo dimostrava solo quanto ognuna delle tre mogli dovesse essere stata innamorata di suo padre per permettergli di scrivere quei nomi immutabili sui loro certificati di nascita.
Scout aveva giurato in giovane età che non sarebbe mai stata così perdutamente innamorata di un ragazzo. Aveva avuto un paio di fidanzati nel corso degli anni. Ma ogni relazione aveva confermato il suo impegno a non sposarsi mai e a risparmiarsi il dramma che ne seguiva.
Sorprendentemente, le sue sorelle non condividevano la stessa opinione. Saylor aveva perso la testa per un uomo che Scout sapeva essere un biglietto di sola andata per un avvocato divorzista. Fortunatamente, Scout dubitava che il donnaiolo avrebbe mai portato sua sorella all’altare. Poi c’era Mareen, che sfoggiava un anellazzo sulla mano sinistra.
“Scommetto che papà ci ha lasciato una scorta segreta di denaro,” disse Brig, la più giovane e ultima delle sei sorelle Silver. “Sapete che non si fidava delle banche. Probabilmente ha lasciato delle pile a Padre Matthews, ed è per questo che ci ha chiamate qui oggi.”
Brigadear Silver assomigliava moltissimo a Scout e a Saylor con i suoi capelli scuri e gli occhi chiari. Perché, come Scout e Saylor, Brig condivideva con loro la stessa madre e lo stesso padre. Dopo la sua terza moglie, che era il suo quarto matrimonio, Abraham Silver tornò ancora una volta dalla sua prima moglie. A quanto pare, la terza volta fu quella buona, perché rimasero sposati fino alla morte di sua madre, dieci anni prima.
Ma dopo la morte di Sarah Silver, le ragazze raramente rividero il padre. Si tuffò nel suo lavoro con i militari, emergendo raramente per più di una telefonata occasionale con le sue figlie.
“Ehi Mareen, sei tornata,” disse Brig, i suoi occhi luminosi brillavano mentre si lanciava su Mareen.
“Certamente sì!” Mareen offrì alla sorella minore una goffa pacca sulla spalla e un sorriso forzato. C’erano dei segni di cedimento nel sorriso di Mareen.
Brig era una forza della natura. Era anche troppo giovane per aver seguito tutto il massacro dovuto alla guerra emotiva degli adulti. Ma onestamente, Scout semplicemente dubitava che alla giovane donna importasse.
Brig si sedette accanto a Mareen e iniziò a chiacchierare dei suoi studi alla scuola statale che frequentava. Mareen cercò di mantenere la sua distaccata compostezza. Ma stava scivolando sotto la disinvolta cordialità di Brig, che era come un tornado.
La porta si aprì per la quarta volta. Una parte di Scout era preoccupata che potessero conoscere un settimo fratello o sorella. Ma no, non fu un’altra donna dalla pelle chiara con i capelli castani e gli occhi azzurri ad entrare. Era un uomo dalla pelle scura con i baffi a manubrio. Quel sorriso un po’ sempre malizioso era leggero in quel momento.
Scout aveva sempre considerato Haran Matthews come l’uomo più forte che conoscesse, più forte persino di suo padre perché era tornato a casa per crescere e prendersi cura della sua famiglia. Padre Matthews apparteneva a una stirpe di guerrieri. Il suo bisnonno era uno dei Buffalo Soldiers raffigurati sul muro. Suo padre era stato uno degli aviatori di Tuskegee.
Ma quel giorno padre Matthews sembrava minuscolo e stanco. Scout dovette ricordare a se stessa che padre Matthews aveva perso il suo migliore amico. Il peso della perdita, e qualunque cosa il padre gli avesse incaricato di fare in sua assenza, gravava chiaramente sulle sue spalle.
Si guardò intorno nella stanza, senza incrociare gli sguardi delle ragazze. Fu allora che la brutta sensazione nello stomaco di Scout aumentò. C’era un posto libero, ma lei voleva camminare avanti e indietro. Voleva strisciare sotto l’enorme scrivania di quercia e nascondersi. Invece, fissò lo sguardo sul pavimento e contò i motivi sul tappeto. Qualunque cosa padre Matthews stesse per dire loro, sapeva che sarebbe stata nei guai.
Padre Matthews girò intorno alla scrivania. Guardò intensamente Scout. Così alla fine si sedette anche lei. Una volta che lei fu seduta, si sedette anche lui.
“Ragazze, ho qui le ultime volontà e il testamento di vostro padre.” Padre Matthews fece un respiro profondo prima di continuare. “Vi ha lasciato in parti uguali il ranch.”
“Ma pensavo che la mamma avesse lasciato il ranch a Scout?” disse Tilly.
La madre di Tilly e Gunny era morta poco dopo la loro nascita. Quando il padre si era presentato alla porta della sua ex moglie con due bambine al seguito, Sarah Silver non aveva battuto ciglio. Aveva preso i fagotti e li aveva allevati come se fossero suoi.
“Quando i tuoi genitori si sono risposati l’ultima volta, la proprietà è diventata di entrambi,” disse padre Matthews. “Quando tua madre è morta, è tornato a tuo padre.”
Scout si sedette in avanti. Non lo sapeva. Per tutto questo tempo aveva continuato a gestire le operazioni quotidiane del Silver Star Ranch come se fosse l’unica proprietaria. Aveva convertito la fattoria in un ranch per la riabilitazione dei cavalli e aveva accolto cavalli feriti, abbandonati e scartati, dando loro un posto dove potevano guarire e riprendersi. L’attività non l’aveva resa ricca, ma aveva pagato le spese, compresa l’istruzione delle sue sorelle.
“Beh, ti do la mia parte, Scout,” disse Gunny. “Ti sei presa cura di tutte noi da quando la mamma è morta.”
“Sono d’accordo,” disse Tilly.
Con la coda dell’occhio, Scout vide Brig e Saylor fare un cenno di assenso. Il mento di Mareen non si abbassò. Rimase alto, mentre guardava dritto davanti a sé.
“Temo che non sia così semplice, “disse padre Matthews. “Vedete, vostro padre ha lasciato delle clausole. Uno delle quali è che il testamento non potesse essere letto prima che fossero passati tre mesi dalla sua morte. L’altra clausola…”
Padre Matthews posò la pila di fogli. Chiuse gli occhi e si pizzicò i peli all’orlo dei baffi.
Scout aveva visto suo padre fare lo stesso movimento. Lo faceva spesso quando litigava con sua madre. O quando stava punendo una delle sue figlie. Di nuovo, lo sguardo di Scout si posò sul tappeto afgano, seguendo la trama con gli occhi mentre aspettava una punizione per qualcosa che non aveva fatto.
“Come ho detto, vostro padre ha scritto che la terra spetta a ciascuna delle sue figlie allo stesso modo. Tuttavia, prima che qualcuno di voi possa vendere o trasferire le proprie porzioni…” Padre Matthews bevve un altro sorso, evitando ancora i loro sguardi. “Prima che qualcuno di voi possa vendere o donare la propria parte, dovrà sposarsi.”
C’era silenzio in quella stanza che era sempre stata piena di tante risate, qualche rimprovero, e la profonda voce baritonale di padre Matthews che raccontava vecchie storie ai suoi figli e alle figlie del suo migliore amico.
“Sposarsi?”
“Sposarsi!”
“Sposarsi.”
Solo Scout, Saylor e Mareen rimasero in silenzio a quella frase.
Padre Matthews alzò la mano come se non avesse finito. Ma cosa potrebbe esserci di più?
“Se non sarete tutte sposate entro la fine dell’anno della morte di vostro padre, la terra andrà…” E in quel padre Matthews alzò lo sguardo. Alzò lo sguardo su Scout. “… alla sua seconda moglie, Catherine.”
Capitolo Due
Lincoln Rawlings girò la testa il più possibile. Lo schiocco dei tendini mise i suoi nervi in allerta. Gli spari erano stati una sirena costante nel suo alloggio per anni, non permettendogli mai di rilassarsi completamente ovunque posasse la testa.
Per un secondo, il suo cervello si annebbiò, ributtando la sua mente nella nuvola scura della battaglia. ‘Massima attenzione’ era una frase comune nell’esercito che significava stare all’erta, poiché il pericolo era sempre presente. Ma guardando il cielo del Montana, sapeva che non c’era alcun pericolo. Il Purple Heart Ranch era uno dei posti più sicuri al mondo, specialmente quando si trattava di soldati feriti come lui.
Non doveva stare all’erta. Non doveva stare in guardia. L’unico conflitto era dentro di lui.
Linc inclinò la testa all’indietro. Lasciò che i suoi muscoli scoppiettassero come popcorn al sole. La luminosità della luce penetrava appena nell’oscurità che si insinuava nella sua mente. Linc sapeva che molto presto, la nebbia nata dalla guerra, le ombre che si erano infiltrate negli angoli del suo cervello e avevano cominciato a divorare la sua attenzione, la sua memoria, quell’oscurità un giorno lo avrebbe inghiottito intero, senza lasciare nulla dietro di sé.
L’abbaiare di un cane attirò la sua attenzione. Il minuscolo Irish Terrier lo guardò con grandi occhi sulla sua testolina. Le sue zampe anteriori premevano a terra come se fosse sull’attenti. Non aveva le zampe posteriori. Al loro posto c’era una sedia a rotelle attaccata alle sue gambe posteriori inerti. Le ruote si fermarono mentre il cane posava il sedere a terra.
Linc dovette sforzarsi per far uscire il respiro che tratteneva mentre il cane si sedeva. Molti cani dell’esercito erano addestrati a sedersi quando rilevavano le sostanze chimiche che componevano una bomba. Ma il cane con la sedia a rotelle non era più idoneo per essere un cane da campo. Proprio come Linc non era più idoneo per operare sul campo.
I suoi giorni in servizio erano finiti dopo che i medici lo avevano operato. Il suo corpo era intero, intatto. Era la sua mente che non era più autorizzata al servizio.
Ruotando di nuovo la testa, Linc sentì i tendini del suo collo schioccare ancora una volta. Il cane emise un gemito di compassione. Linc si chinò e diede al cagnolino una grattatina dietro le orecchie. Dopo le coccole, il Terrier alzò la groppa e mise in moto le sue ruote. Missione compiuta, se ne andò al trotto, poiché aveva ottenuto ciò per cui era venuto.
Missione compiuta. Quelle parole risuonarono come un’eco nelle caverne vuote del cervello di Linc. Doveva essere in missione… ma i dettagli erano offuscati.
Linc si strofinò la fronte, cercando di ricordare il motivo per il quale fosse uscito. Il suo borsone era ai suoi piedi, come se fosse pronto per essere rigirato e spedito verso qualche terra lontana. Aveva le chiavi della macchina in una mano. Era stato autorizzato a guidare un’automobile, ma non riusciva a ricordare dove dovesse andare…
Premuto nel palmo della sua mano, dietro il mazzo di chiavi, c’era un quadrato di carta gialla. L’adesivo in cima al biglietto si era attaccato alla parte superiore del palmo. C’erano parole scarabocchiate al centro con una scrittura in grassetto e a blocchi.
Obiettivo della missione: Silver Star Ranch.
Missione: mantieni la tua promessa fatta al generale.
La mente annebbiata di Linc si schiarì. Quelle parole bastarono a ricordargli cosa dovesse fare, quale fosse la sua missione… la sua missione finale. Sollevò il borsone, strinse le chiavi della macchina tra le mani e attraversò il cortile fino alla clinica del ranch.
Passando davanti alle infermiere e ai dottori, Linc sorrise gentilmente. Era difficile per lui associare volti e nomi. Quelli erano gli uomini e le donne che lo avevano aiutato a guarire dopo la sua missione. Non voleva sembrare scortese. Voleva sembrare guarito. Anche se non lo sarebbe mai stato davvero.
Raggiunta la sua destinazione, Linc non si preoccupò di bussare alla porta. Era socchiusa e all’interno c’erano altri cinque uomini. Un uomo era seduto sul letto e si stava allacciando gli scarponi. Ci metteva tempo poiché usava solo una mano per farlo. La mano sinistra di Jefferson giaceva sul materasso mentre si dibatteva.
Nessuno degli altri uomini si mosse per aiutarlo. Nessuno di loro parve notare il suo momento di difficoltà. Jeff era l’unico della loro unità che se ne era andato con una ferita visibile. Gli altri uomini riuscivano a nascondere le loro cicatrici, ma solo se non si guardavano negli occhi.
“Pronto ad andare?” chiese Linc, una volta che Jeff ebbe finito.
Carter e Truman, i più vicini alla porta, annuirono. Afferrando i loro borsoni, si imbatterono in Lincoln. Wilson, che stava alla finestra, si allontanò dal muro. Prese il suo borsone e poi quello di Jeff prima di stringere la mano in un pugno e allontanarsi. Jeff fece finta di non accorgersene e sollevò il borsone sulla schiena con la mano destra.
“Ci siamo persi il funerale,” disse Jeff.
Non si sarebbe potuto fare altrimenti. Erano tutti ricoverati in un ospedale tedesco al momento del funerale del generale Silver, tre mesi prima. Il mese scorso erano stati mandati al Purple Heart Ranch per lavorare su se stessi. Ogni uomo aveva esitato all’idea di venire al ranch di riabilitazione. Ma si trattava di un ordine, l’ultimo del loro comandante in capo.
Il generale Silver amava chiamare la sua unità ‘gli uomini del Presidente’ perché ognuno dei soldati aveva il nome di un presidente. Linc si era chiesto se il generale avesse scelto i ragazzi proprio per quel motivo. Qualunque fosse stato il processo di selezione del generale, era stato azzeccato. I sei uomini avevano lavorato insieme armoniosamente nel corso degli anni, eseguendo le missioni più difficili che l’esercito aveva messo loro sulle spalle.
Fino all’ultima missione. Quella che li aveva quasi ammazzati. Quella che si era presa il loro giocatore più prezioso, proprio il generale.
“Il ranch Silver Star è a trenta chilometri da qui,” disse Linc. “Prendiamo due mezzi e ce ne andiamo. Dovremmo arrivare alle 11.”
“Questa non è una missione, Linc,” disse Wilson. “Abbiamo chiuso con l’esercito.”
Era vero. Ognuno degli uomini del Presidente aveva ricevuto un congedo medico dopo il periodo trascorso nell’ospedale tedesco. Insieme a quel congedo onorevole, ogni uomo aveva ricevuto la Medaglia d’Argento d’Onore per le azioni eroiche che tutti avevano compiuto nella loro ultima battaglia.
“Tutto quello che voglio fare è riposare,” disse Jackson. C’era un tocco di grigio che si insinuava nell’attaccatura dei capelli alle sue tempie.
“Tutto quello che voglio fare è trovare una brava donna e fare dei bambini,” dichiarò Carter mentre si passava una mano tra i capelli eccessivamente acconciati.
Truman rimase in silenzio. Come Linc, anche lui voleva tornare nell’esercito. Ma l’unico modo sarebbe stato accettare un lavoro d’ufficio. E sarebbe stata una morte lenta.
“Abbiamo promesso di farlo,” disse Linc.
Quell’affermazione li zittì tutti. Anche tre mesi dopo, tutti sentivano ancora fortemente la perdita del loro leader. Linc era sicuro che ogni uomo potesse ancora sentire l’esplosione che si era portata via il loro capo. Tutto quello che gli era rimasto era l’impegno che avevano preso, l’impegno di proteggere le sue sei figlie e vedere se c’era qualcosa che gli uomini del Presidente potessero fare per quelle ragazze.
“Prepariamoci e andiamo via.”
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