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UNA BRAVA PERSONA

Interpreti:

C.: Commissario Sgamon

F.: Cavalier Favilli

A.: Appuntato

V 1 : Prima voce al telefono

V 2 : Seconda voce al telefono

Facoltativi:

Guardia carceraria

SCENA 1. Alla stazione di polizia.

L'uomo seduto accenna ad alzarsi in segno di rispetto mentre il commissario entra, esaminando una cartellina che ha tra le mani.

C: “Stia pure comodo.”

Il commissario chiude la porta, lascia all’altro poliziotto la cartellina e inizia a squadrare il sospettato.

C: “Fossero tutti come lei, il nostro lavoro sarebbe molto più semplice. Penso che persino io sarei riuscito a catturarla, benché non sia certo un operativo e lavori quasi sempre in ufficio.”

F: “Il fatto è che con quell'affare addosso sudavo e mi sentivo impacciatissimo nei movimenti. Non c'ero proprio abituato. Lei non ha idea di come mi sentissi. Anzi, forse sì. Magari le sarà capitato di indossarlo.”

C: “Un giubbotto antiproiettile? Sì, qualche volta. Ma con una pistola giocattolo in mano no, non mi è mai successo.”

F: “Il fatto è che la mia era una pistola finta. Non avrebbe mai sparato, perché proprio io non avrei mai voluto sparare. Ma gli altri non lo sapevano. E se a qualcuno, credendola vera, fosse venuto in mente di spararmi? Meglio essere prudenti, non si sa mai. E con tutto che indossavo il giubbotto avevo comunque una paura tremenda di poter essere colpito alla testa, o alle gambe. Capisce, qualcuno avrebbe potuto sparare all’impazzata o semplicemente sbagliare mira. E poi alle volte succede che il personale della sicurezza perda la testa e vada un po' oltre il dovuto.”

C: “Perda la testa? Proprio lei mi viene a parlare di perdere la testa? Ha davvero un bel coraggio. Lei, Cavalier Favilli, proprietario di una delle più grandi catene di negozi di abbigliamento italiani; e in più, a quanto leggo, è anche nel consiglio di amministrazione di diverse importanti aziende, tra cui una banca. Guarda caso proprio quella che stamattina le è saltato in mente di rapinare – o di far finta di rapinare. Ma … mi vuole spiegare perché l’ha fatto?”

F: “Nella scelta della banca è sempre meglio preferire quella di cui ci si fida. La fiducia è tutto, in fatto di banche, se lo ricordi. Insomma, in un certo senso mi sentivo tra amici, giocavo in casa.”

C: “No, io vorrei capire non perché ha scelto quella banca, ma perché ha scelto di rapinarne una. A quanto vedo le finanze, sue e delle sue aziende, sono in ottima salute, e direi che per lei dal punto di vista economico non sarebbe cambiato poi tanto se pure la rapina fosse andata a buon fine. Mi faccia capire. Non erano i soldi che le interessavano? Mirava a qualche documento? Oppure l’ha fatto per scommessa?”

F: “In un certo senso … una scommessa con me stesso. In realtà, signor commissario, l’ho fatto per amore, solo per amore.”

C: “Per amore? Beh, temevo qualcosa del genere. Mi dica, si spieghi meglio.”

F: “Si tratta di Rossana, una commessa nel nostro negozio di abbigliamento più importante, quello sul Corso. Assunta da poco, tra l’altro. Mi è sùbito piaciuta ed ha attirato la mia attenzione. Beh, vede, non è che fosse la prima commessa che mi piaceva o la prima donna della mia vita. Ma il fatto è che … non sono abituato ad essere respinto. Non mi faccio illusioni, so che se in genere mi assecondano e mi vengono dietro è sicuramente per la posizione che occupo, o per i miei soldi. Invece con lei … Quando una volta le ho parlato a tu per tu e le ho proposto di essere la mia compagna, lei ha detto di no, che non avrebbe mai funzionato. Perché io, secondo lei, sarei troppo una brava persona, a differenza di lei. E’ stato allora che mi ha confessato di aver rubato più volte degli articoli dal mio negozio: camicie, maglioni, borsette … Prendeva quello che più le piaceva. Praticamente tutto quello che aveva addosso era rubato. Mi ha detto: io sono una piccola delinquente, mi piaccio così e così mi piacciono gli uomini che frequento, un po’ mascalzoni, non importa quanti soldi abbiano. Mentre io invece, secondo Rossana, sarei stato troppo un bravo ragazzo.”

C: “E allora?”

F: “Le ho spiegato che anche nel nostro ambiente apparentemente per bene c’è modo di essere disonesti e commettere mascalzonate in guanti bianchi, rubando con astuzia in contabilità molto di più che qualche capo di abbigliamento, e addirittura continuando a mantenere il rispetto e l’ammirazione della gente. Ma lei è una ragazza semplice, non è in grado di capire queste faccende. Forse invece lei, commissario, intende cosa voglio dire.”

C: “Faccio finta di non aver sentito. Per adesso non mi interessano le sue altre mascalzonate, ma solo quella di stamattina.”

F: “Avrei potuto licenziarla, per ripicca e per farle capire il mio potere, o per i furti che mi aveva confessato. E invece ho accettato la sfida di mettermi al suo livello. Siccome lei non era in grado di comprendere altre tipologie di crimini, ho dovuto cimentarmi in qualcosa che potesse capire anche lei. Certo non era il mio campo, ero inesperto, e lo sono tuttora, nonostante mi sia fatto dare qualche consulenza di un certo livello pagandola profumatamente; ma più che altro teoria, niente di pratica.”

C: “E il risultato qual è stato? Eccola qui in manette; e qualche anno dietro le sbarre non glielo leverà nessuno, neanche i suoi soldi ed un buon avvocato. A meno, forse, che non punti sulla sua semi-infermità mentale, su cui a questo punto persino io potrei lasciarmi convincere.”

F: “No, no. Il risultato lo saprò solo quando Rossana verrà a trovarmi – e farò in modo che lo faccia. Mi dirà se secondo lei ho passato l’esame, se mi crede ancora una brava persona o se ritiene che io sia degno di lei, e lei di me. Solo allora saprò se ne è valsa la pena.”

SCENA 2. Nel parlatorio della prigione.

C: “Salve. Le dispiace se sono venuto a trovarla?”

F: “Niente affatto. Qui dentro tutte le visite mi sono gradite. E non vorrei assolutamente che pensasse che ce l’abbia con lei per qualche motivo. Lo so benissimo che ha fatto solo il suo lavoro.”

C: “Ad essere sincero, avevo chiesto che mi avvisassero quando la sua Rossana fosse venuta a trovarla. E mi hanno detto che è venuta ieri, dopo oltre sei mesi dalla sua condanna. Insomma, se posso chiederglielo: come è andata? Aveva detto che avrebbe valutato dal giudizio di quella donna il risultato delle sue azioni, se ben ricordo.”

F: “E’ solo per curiosità personale che lo vuole sapere, o c’è qualche altra motivazione diciamo … professionale”

C: “Beh, in effetti… Ho pensato che se lei dopo aver parlato con Rossana avesse valutato negativamente la sua esperienza criminale, forse sarebbe stato più propenso a rivelarmi qualche particolare in più sulla rapina - in cambio di uno sconto sulla pena, è ovvio - visto che a suo tempo ha omesso molti importanti dettagli. Informazioni sui complici e sull’organizzazione del colpo, essenzialmente. In fondo se Rossana l’ha bocciata, quello che le resta sarebbe solo qualche altro anno di carcere. Questo carcere, poi, che non è proprio dei migliori. A proposito, ho saputo che ha conosciuto di persona Achille il Sanguinario, come lo chiamano per i suoi trascorsi. Mi dia retta: gli stia alla larga, cerchi di non fraternizzare troppo con quel tipo. Per lui uno in più o uno in meno sulla coscienza - che non ha - non cambierebbe nulla.”

F: “Credo che lei si sbagli sul conto di quell’uomo. E’ solo che il sangue non gli fa la minima impressione, e per lui trucidare un essere umano è all’incirca come schiacciare una mosca. Anzi, in fondo si può dire che sia una brava persona: è affidabile, uno che mantiene le promesse, e se prende un impegno lo porta a termine scrupolosamente.”

C: “E sulla rapina, e sui suoi complici, non ha nulla da dirmi?”

F: “No. Tutto sommato anche i miei collaboratori sono stati corretti, hanno svolto esattamente e professionalmente quello che avevo loro chiesto ed avevamo pattuito. Non vedo perché dovrei danneggiarli inutilmente, e mettermeli contro. Non certo per il puro gusto di far loro uno sgarbo. Gli errori sono stati tutti e solo miei, me ne assumo e me ne sono assunto completamente tutta la responsabilità.”

C: “E Rossana? E’ riuscito a convincerla di non essere una brava persona? E sarà disposta ad aspettarla fino a quando non uscirà di prigione? In tal caso, signor Favilli, sarebbe meglio accorciare un po’ i tempi, e la collaborazione sarebbe il modo migliore. L’unico altro modo che vedo sarebbe la buona condotta, che però è troppo da bravo ragazzo. Oppure in questi sei mesi ha cambiato idea su qualcosa, su Rossana, sull’amore, e magari su come portare avanti il resto della sua vita?’

F: “Rossana ha apprezzato molto il mio coraggio e la mia buona volontà. Mi ha detto che adesso convive con uno che gli piace, un vero duro tutto d’un pezzo. Ma quando uscirò, se lei non sarà legata a nessuno, ha detto che mi prenderà in considerazione.”

C: “Bene, mi fa piacere. E lei è rimasto soddisfatto di questa risposta?”

F: “Ni. E’ come se fossi stato promosso con una sufficienza stentata. E io non sono il tipo che si accontenta della sufficienza. Io voglio essere brillante, il migliore, non una mediocrità.”

C: “E quindi, cosa pensa di fare?”

F: “Non lo so ancora bene. Vedremo, vedremo. Ci penserò. In fondo ho davanti molto tempo per pensarci.”

SCENA 3. Alla stazione di polizia. Il commissario è al telefono.

V1 : “Per quell’evasione dal carcere, commissario, pensiamo che sarebbe utile che anche voi ci diate un supporto operativo.”

C: “L’evasione di Achille il Sanguinario? Naturalmente, daremo volentieri una mano come potremo, come tutti e come sempre, d’altronde.”

V1 : “Dopo aver fatto una strage per scappare di prigione, sembrano proprio essere svaniti nel nulla.”

C: “Ma perché parla al plurale? E’ stata una fuga di gruppo?”

V1 : “La novità è questa: che, dopo aver fatto la conta dei cadaveri, sembra che all’appello oltre ad Achille il Sanguinario manchi anche il cavalier Favilli. Può essere che troveremo il suo cadavere altrove; ma magari l’ha preso come lasciapassare, perché era forse la persona più ricca e importante che aveva sottomano. E non riuscendo a trovare Achille, pensiamo che potrebbe essere utile cercare anche il Favilli.”

C: “Sì, buona idea. Quello per amore potrebbe fare qualunque follìa, e il fatto che in prigione abbia frequentato Achille il Sanguinario … Anche se davvero il crimine non sembrava essere nel suo DNA. Faccio cercare la sua fiamma, Rossana, e ci mando una pattuglia a controllare. Non si sa mai. E’ possibile che se troviamo lei, troviamo anche lui, o loro.”

SCENA 4. Come la scena 3. In più c’è l’appuntato.

V2 : “Capo, siamo dentro all’appartamento di quella Rossana. Non abbiamo trovato nessuno, ma per me è sicuro che siano passati di qui. C’è sangue dappertutto, una cosa impressionante. Non ho mai visto una cosa simile. Però nessun corpo, nessun cadavere, nessun ferito. Niente oltre al sangue.”

C: “Fatelo analizzare dalla scientifica. E mi raccomando con attenzione, potrebbe trattarsi di diverse persone.”

Il commissario riattacca.

A : “Certo che il Sanguinario è sanguinario. Se gli hanno affibbiato un soprannome simile un motivo ci sarà stato.”

C: “Tu ti sei già fatto un’idea sul sangue che hanno trovato. Ma io se fossi in te non scommetterei troppo su chi abbia fatto la strage e chi sia la vittima, o le vittime. Anzi: perché invece non ce la facciamo proprio una bella scommessa? Facciamo così: se alla fine delle indagini risulterà che è davvero stato il Sanguinario, ti offrirò un pranzo; altrimenti me lo offri tu. Perché nonostante le apparenze c’è chi dice che Achille il Sanguinario sia una brava persona, obbediente e preciso nei suoi lavori su commissione; mentre il Favilli, a quanto mi è sembrato, è meno ingenuo e più criminale di quanto si possa pensare. Allora appuntato, che dici: la vogliamo fare questa scommessa?”

GIU' LE MANI DA LUANA, PLEASE

[1]

Il Papotti lo considero uno dei miei collaboratori più validi e, sotto alcuni aspetti, forse anche tra i più interessanti. Ha sempre dimostrato un intuito ed un acume straordinario, degni - secondo me - più di un investigatore che di un giornalista.

Lo chiamavamo tutti "Mister perché", per via del fatto che ogni tanto sparava su qualche collega una raffica di domande su qualche vicenda di cronaca, a cui regolarmente non sapevamo dare una risposta precisa; e regolarmente concludeva con una affermazione del tipo: "Vedi, mi sembra ovvio che in questa faccenda c'è qualche cosa che non torna." Ed era capace di approfondire una singola questione per giorni e giorni, con ricerche, interviste e magari anche pedinamenti, finché non tirava fuori la sua verità, quella che finalmente gli quadrava.

Querele poche, segno che nella maggior parte dei casi ci azzeccava; e molti scoop. L'unico suo limite, forse, stava nel ristretto orizzonte del suo campo di azione: in genere gossip; o al massimo ambiti locali, perciò di interesse necessariamente limitato a pochi. Forse perché veniva da un giornalino di quartiere e, come diceva lui, gli piaceva mantenere il contatto con la gente e la realtà quotidiana. Peccato. Avesse trovato qualcosa di strano nel presidente del Consiglio, sarebbe stato capace di far cadere il governo, e sarebbe sicuramente diventato più famoso.

Credo che il Papotti fino all'anno scorso non avesse neanche idea di chi fosse Luana Mozzi. A ben guardare, erano di due generazioni diverse. Il Papotti doveva essere un bambino quando lei, prima come cantante e testimonial in pubblicità e poi come pornodiva, approdò alla notorietà. Una rapida ascesa, una enorme fama: gran bella donna devo dire. E quando, saranno ormai quindici anni orsono, Luana Mozzi scomparve in circostanze ancora misteriose, il Papotti sarà stato al massimo un ragazzino.

Poi, mi pare l'anno scorso, un quotidiano pubblicò la notizia di un giudice che indagava non so a quale scopo sulla effettiva morte della Mozzi.

Il giorno dopo - e potrei scommettere che si era un minimo documentato prima di affrontare con noi l'argomento - il Papotti ci fece alcune delle sue domande provocatorie.

"Vi pare possibile che un padre e una madre possano dimenticarsi dove hanno sparso le ceneri della loro figlia? O che una clinica di fama internazionale possa smarrire la scheda clinica di un personaggio famoso che viene da migliaia di chilometri di distanza per curarsi, e morire, da loro?"

No, secondo noi non era possibile.

"E perché secondo voi, dopo quasi quindici anni, qualcuno avrebbe interesse a riaprire il caso della sua morte? A chi potrebbe interessare?"

Su questo ci fu qualche contributo da parte nostra: forse gli interessi dell'industria pornografica? E non era forse vero che già all'epoca nessuno di noi aveva veramente creduto alla versione ufficiale dei fatti?

Il Papotti si buttò anima e corpo sull'argomento, e si assentò dalla redazione per almeno due settimane. Non è poi una cosa così inconsueta da noi. L'importante è che almeno una volta a settimana il direttore del giornale venga tenuto aggiornato su ogni sviluppo.

Dopo di che inviò una videocassetta ai genitori della Mozzi, con cui si presentava e in cui chiedeva di essere ricevuto e di poter fare loro un'intervista, asserendo inoltre di essere in possesso di importante e inedita documentazione sulla morte della loro figlia. Una copia del nastro c'è sicuramente da qualche parte anche qui al giornale, se può servire.

Non ci sperava proprio, e invece la sua richiesta fu subito accettata. Si recò a casa loro, se non sbaglio nelle campagne piemontesi. Era armato non solo di penna e blocco notes, ma anche di un telefonino truccato che fungeva da registratore e micro-telecamera. È uno degli ultimi ritrovati della tecnica, molto in voga tra i giornalisti rampanti; lo usano in molti, grazie anche a questa moda degli ultimi tempi di portarsi il cellulare attorno al collo appeso a un collare di stoffa.

Da qualche parte abbiamo anche questo filmato, ma preferirei che non uscisse fuori: meglio non divulgare certi strumenti di indagine. Però il Papotti ha tirato giù un rendiconto di quell'incontro. Deve essere ancora qui sulla sua scrivania: un attimo solo… Eccolo. Ci dia un'occhiata lei stesso, commissario.

-----------------------------------------

La casa dei Mozzi è sobria, accogliente ed ospitale, circondata da un modesto giardino. Dopo che ebbi suonato al cancello, si affacciò una signora un po' anziana.

"Cosa desidera?", mi chiese.

"Sono il signor Papotti. Cerco …"

"Ah, sì. Il signor Papotti. Venga, entri pure, la stavamo aspettando."

Oltre a lei, nel salone all'americana mi attendevano, seduti uno sul divano e l'altro su una poltrona, due persone che se fossero state statue sarebbe stato circa lo stesso. Uno era un signore anziano, vestito elegante ma all'apparenza sciatto, sguardo perso nel vuoto forse per qualche malanno di troppo. Accennò un leggero sorriso e un segno di partecipazione solo quando la signora ci presentò: "Lui è mio marito."

L'altro era un tipo un po' losco: vestito scuro, occhiali da sole e, guarda guarda, al collo portava un cellulare quasi come il mio.

"Gradisce un po' di tè?", mi chiese la signora.

"Sì, grazie." Poi, siccome l'altro individuo non mi veniva presentato, domandai io: "E quest'altro simpatico signore, è possibile sapere chi sia?"

"E' il nostro maggiordomo tuttofare", rispose la signora sorridendo. E aggiunse:

"Beh, in fondo lei è un giornalista, qualcosa dovrà pur scoprirla da solo: o vuole che le diciamo proprio tutto noi?"

Sì, in effetti speravo che mi dicessero tutto loro. Ma di sicuro quell'uomo non era un maggiordomo, visto che la signora si occupò personalmente di servire il tè.

"Mi dica, signor…"

"Papotti", l'aiutai io.

"Giusto. Mi dica, lei per caso ha figli?"

"No. Non sono neanche sposato."

"Peccato. Peccato, perché i figli portano grandi soddisfazioni. E anche perché… le sarà più difficile comprendere la nostra situazione. Intendo dire: immaginare anche lontanamente come può sentirsi una coppia che ha perso un figlio. Vede, noi abbiamo volentieri acconsentito a riceverla non tanto perché avessimo qualcosa in particolare da dirle. La nostra verità è semplice. Brutta e triste, ma è la verità: la stessa che è stata scritta su tutti i giornali, sbandierata al mondo intero. Che poi non è stato bello neanche questo: che tutti parlassero di questo dolore, che se ne appropriassero, o meglio facessero finta di appropriarsene; di questo dolore che in realtà doveva essere solo nostro, e di quei pochi che veramente le hanno voluto bene."

Fece una pausa, mentre gustava un altro sorso di tè.

"Deve cercare di capire che non solo nostra figlia è morta, ma è morta più di una volta."

Ecco, pensai, ancora un po' e mi dice tutto.

"La prima volta, che ancora non era maggiorenne, è come se ci fosse stata uccisa. Ingoiata da quel mondo perverso dove non conta che hai un'anima: sei solo un corpo. Fatta prostituire neanche con un uomo alla volta, ma con centinaia e migliaia insieme. Intrappolata nel suo personaggio da carta stampata e da filmacci per soli uomini. Tolta per sempre dalla sua famiglia, dal nostro affetto, dalla bellezza di una vita sana e normale. E convinta a credere che fosse una vita ben vissuta, quasi una missione.

E' stato allora che per noi è morta."

Non riuscì a continuare. Poggiò la sua tazza e chiuse gli occhi, come per raccogliere da dentro di sé le forze per proseguire, o forse per cercare di rivedere il volto sorridente di sua figlia ragazza.

"Ma poi è morta di nuovo, in quella clinica. Perché, - e questo non potrà capirlo se non ha figli - una figlia resta sempre una figlia anche se non ti può vedere, o non la puoi vedere; se non riesci a comunicare con lei; se è scappata di casa, o se ti ha riempito la vita solo di dispiaceri. E' sempre una figlia, e quando muore ti manca da morire, e ti accorgi che era comunque meglio averla viva, con tutti i difetti che poteva avere o i problemi che poteva darti. Un figlio è un pezzo di cuore, come dicono a Napoli."

Fece una nuova pausa, sospirando e chiudendo nuovamente gli occhi per un attimo.

"E poi hanno tentato di ucciderla ancora. Siete stati voi giornalisti, con insinuazioni, sospetti, supposizioni, congiure immaginate chissà con che scopo. La prego, cercate di non ucciderla ancora."

"Si riferisce anche al contenuto della cassetta che le ho mandato?" le chiesi. "L'ha vista fino alla fine?"

"No, no. Ormai non serve più, non ha più senso. Anzi, forse sono io a poterla aiutare."

In realtà non aspettavo altro. Lei si alzò, si diresse ad una scrivania da cui prese una corposa cartellina per documenti, e me la diede. Era piena di fogli di giornale e riviste, qualche libro, foto e articoli ritagliati.

"Tenga. Questo è quanto sono riusciti a scrivere alcuni suoi colleghi prima di lei. Ci sono persino un paio di libri. E' stato detto di tutto. E sarebbe anche bello, se fosse vero. Una fuga d'amore; uno scambio di cadaveri; i servizi segreti francesi o quelli italiani, o forse tutti e due, in cooperazione; un alto generale francese, o addirittura un ministro; una gravidanza troppo imbarazzante; una nuova vita in Papuasia, o forse come missionaria in Africa. Faccia un po' lei, si sbizzarrisca."

"Cerchi di capirmi, signora: io sono un giornalista."

"Certo, certo: lo so. Deve fare il suo lavoro. E' assurdo, oltre che inutile, chiederle di non farlo. Però se le è possibile, una volta fatte le sue ricerche e formulate le sue congetture, aspetti per pubblicarle che io e mio marito saremo morti. Tanto ormai non c'è più nessuna fretta, decennio in più o in meno. Non contribuisca a questo stillicidio continuo, a questo strazio con cui cercano di uccidercela di nuovo. Lei sarà ancora giovane, e non sarà certo questo a farle fare carriera."

Non sapevo cosa dirle. Non trovai di meglio che rassicurarla dicendole:

"Cercherò di non mettere in cattiva luce nessuno della sua famiglia."

Mi alzai, come per togliere il disturbo, ma mi trattenni. Ero venuto fin lì e non avevo concluso niente.

"C'è qualcos'altro che posso fare per lei?", mi chiese cortese la signora.

"Avete qualche ricordo di Luana, in questa casa?"

"Qualcosa nell'altra camera, e forse basta. Dia pure un'occhiata liberamente, come se fosse a casa sua."

In un angolo di quella che doveva essere la camera degli ospiti, sistemati con cura attorno ad un mazzo di fiori, trovai qualche bambolina, qualche libro e qualche fotografia. Ricordi di una ragazza sana e felice, ancora pura e in sintonia con la sua famiglia. Niente altro.

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"E secondo lei", chiese il commissario, "tra le varie piste, tra tutte le ipotesi sulla scomparsa della Mozzi, ce n'era qualcuna a cui il Papotti dava maggior credito? Non so, può essere che ne abbiate parlato…."

"Lui era convinto che dietro ci fossero i servizi segreti. Non che la cosa lo spaventasse, anzi: ciò rendeva il suo lavoro ancora più interessante, una sfida ancor più difficile e quindi più appassionante. D'altronde io ero contento per lui: finalmente un caso rilevante, di portata internazionale."

"E' tutto?", chiese il commissario Sgamon al direttore del giornale.

"Direi di sì. Dopo la sua visita a casa Mozzi, ormai oltre un mese fa, il Papotti è sparito di nuovo. Per un po' ho ricevuti i suoi aggiornamenti dalla Francia; ma poi più niente. Ah, dimenticavo: l'ultima cosa che mi ha mandato è questa foto, con il cellulare. Una donna sulla spiaggia. Forse una certa somiglianza con la Mozzi. Però non saprei… Ma ora sono oltre due settimane che non si fa sentire, e questo proprio non è da lui. Sono certo che gli è successo qualcosa."

"E il suo telefonino risponde libero? Forse potremmo cominciare a rintracciare quello."

"Nessun segno di vita. Le lascio il numero, commissario, insieme a qualche sua fotografia. E qualunque altra cosa possa servire a rintracciarlo, la prego di fare pure il massimo affidamento sulla collaborazione di tutti noi del giornale."

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Дата выхода на Литрес:
09 апреля 2019
Объем:
171 стр. 2 иллюстрации
ISBN:
9788873045472
Правообладатель:
Tektime S.r.l.s.
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